Gina Ceroni, Cercando me, Aletti Editore 2019

 

 

Una recensione di Martina Lelli

“Cercando me” di Gina Ceroni è un autentico e inafferrabile viaggio che percettibilmente si cala nella sconfinata profondità dell’Essere, divenendo perenne trasformazione e stabile non-finito, in cui l’appagamento della meta è il luogo sicuro e indefinito della poesia, angolo intimo e di nitidezza dell’anima.
La penna sensibile e aggraziata dell’autrice, per “poter racchiudere in versi/ i misteri che nasconde” (“Nel fluire della vita”), esprime spontaneamente il bilico tra la traiettoria naturale del tempo e l’imprevedibile urgenza di scrutare e interiorizzare il senso del finito, veleggiando “nel firmamento dello spirito/ libera come un gabbiano” e respirando “la vita” (“Mare di notte”), cercando proprio di collocare quantità d’amore plasmandosi in un “noi” che, con “una indicibile speranza/ ci fa percepire una promettente eternità” (“Rimarranno tracce?”).
La poetica essenziale dell’autrice rivela genesi di pathos spirituale, scoprendo cautamente le concretezze della natura che, interiorizzate, sono uno sguardo emotivo, a tratti con un’impronta critica, sul linguaggio della vita, in cui “l’anima cerca la felicità/ nella coppa di un cielo/ immenso, stellato” (“La stella cadente”) e dove “l’esistenza è incanto […] / e l’inizio diventa la fine/ e la fine l’inizio” (“Vita e morte”). L’autrice, infatti, traccia le sue immagini emozionali per condurci tra gli aneddoti quotidiani del suo percorso di ricerca di sé ed il mondo reale, spazio di attribuzione umana, è il mezzo attraverso cui l’intimismo s’allarga fino a toccare microcosmi che s’intersecano nel nome della parola poetica.
Il tempo, incisivamente fluido, è protagonista della silloge: dallo sfondo al primo piano origina metamorfosi e assume ordinatamente significati di spensieratezza fanciullesca, crescita personale e consapevolezza del naturale divenire. La poetessa, proprio per realizzarsi metafisicamente, si fonde con le stagioni della vita e, coscienziosamente, concretizza le proprie esperienze nell’universale, dove “l’uomo a nudo l’anima metterà/ pronto a raggiungere la pienezza” (“Un tempo…”).
La raccolta poetica stimola le sfumature dell’unicità umana ad inondare e nutrire i vuoti e le fragilità terrene con freschezza e delicatezza: in particolare, l’imperfezione dell’amore vero si riflette nella potenza evocativa dell’incontro tra l’autrice e gli interrogativi esistenziali, tracimando nell’abbraccio caldo di un “noi” appena nato, in cui “abbiamo ciò che né l’uno né l’altro/ potrà mai trovare da solo” (“Noi”). In questo contesto, la Ceroni, pur chiedendosi se “siam davvero polvere e ombra/ o nebbia che al vento si dilegua” (“Non so perché io sia al mondo”) e consapevole che lei stessa è “fugace pensiero/ che prende forma terrena” (“Chi sono”), vivifica il senso del viaggio: lasciare “che l’infinito/ ti invada l’anima/ quella è la felicità” (“Felicità”). È esattamente qui che, annaspando nell’esistenza, arriva la poesia che non è altro che “una linfa vitale/ un fiume in piena/ un fuoco interiore” da lasciare fluire, cosicché “dentro e fuori” siano “la stessa cosa.” (“Alla poesia”)
“Cercando me” è cuore aperto, un affresco nuovo di cui raccontare i colori, una ricerca di libertà oltre il corpo in cui “conoscere emozioni/ che bruciano la trama/ di filigrana della vita” (“Melanconia”): è il diario di bordo dove “l’unico che può darci la misura/ di qual è la verità è solo l’amore.” (“Verità”)