Simonetta Lazzerini Di Florio, I passi e le soste, Florence Art Edizioni 2017

 

I passi e le soste è la terza raccolta di poesie dell’autrice, dopo Dalla barca lunata (2005) e Abitare il giardino (2011). Si amplia e arricchisce il diario lirico, sviluppatosi nel tempo,con meraviglia di fronte all’esistenza, nelle sue varie forme, in dialogo con se stessa, con la natura e gli esseri tutti. Si accentua la consapevolezza della parola come mezzo conoscitivo.

Si è liberata l’intuizione

dalla radice dell’animo.

E’ diventata parola.

Questa raccolta è costituita da 13 sezioni, in ognuna delle quali i testi poetici si susseguono in continuo fluire: Parola, Mare, Seme dell’esistere, Attesa, Riscatto d’anima, I passi, Nostalgie, Le soste, Compagni di viaggio, Passione d’essere, Casa, Ultimo approdo, Futuro.

Come si evince anche da alcuni titoli è un viaggio, nell’arcipelago dell’esistenza, alla ricerca del significato della vita. Ma non di bilanci si tratta, bensì di scoperta o riscoperta e dialogo. Sorretta da una fede profonda, che diviene umana fiducia nell’essenzialità e nel miracolo permanente della natura. Nella straordinaria forza della parola.

“Un vero e proprio ‘dizionario dei sentimenti’ e delle riflessioni sull’esistenza umana è quello che viene offerto nella raccolta poetica di un’autrice che non rinuncia né all’addentellato con la realtà quotidiana, né all’elevazione verso una dimensione di ricerca spirituale e di meditazione sull’essenza umana” (dice Massimo Seriacopi, nella prefazione)-

“… la poesia passa da una sezione all’altra con forti richiami e liaisons come un flusso di coscienza a cui si abbandona la poetessa senza mai perdere la consapevolezza del mezzo e della meta. Si affinano le capacità espressive, la musicalità del verso a lungo meditato e ridotto ad efficace essenzialità, le parole scelte e levigate con sapienza, le immagini bellissime, leggere e luminose, di una realtà vista come in una bolla di sapone che esalta e riflette i colori”  (scrive Arrighetta Casini nella postfazione).

Una prova che coniuga sensibilità, visione delle cose e tecnica espressiva, in modo sorprendente.

Un esempio:

Stamani le farfalle

 volano sulla lavanda fiorita.

 Ne segue l’arabesco

 una ragazza – profilo

 breve d’adolescente -.

Le Apuane vestite

 di marmi rosa

 screziate d’arancio

 nell’ora del tramonto.

Sale dal mare

a ondate, secondo il vento

un odore avvolgente

di alghe e pesci.

Dall’altra parte il bosco:

un mare verticale senza barche

con foglie che stormiscono

la risacca. Faggi e castagni

con le chiome arruffate

 che salpano al cielo

in attesa di essere

 masse indistinte, fantasmi,

nel cupo accigliato della notte.

Quando non ci sarò più

niente di questo sarà mutato.

 

E ancora:

 

Le parole dell’io

non hanno ali,

dal fondo del crogiuolo

non lievitano

a sfiorare il tuo volto

né il suo.

Fanno molto rumore

che non serve.

 

Le parole per l’altro

sono gocce di luce

illuminano

il buio della stanza

 

sanno camminare sulle acque.

 

 

Il volume ha ricevuto il Primo Premio per la sezione Poesia Edita al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa “Prato: un tessuto di cultura” – edizione 2017 con la motivazione: “Il percorso di Simonetta Lazzerini Di Florio ne I passi e le soste è vario e articolato. Nelle tredici sezioni in cui si divide la raccolta, con lo sguardo rivolto non solo al passato ma anche al futuro, la poetessa sembra ripercorrere le tappe più significative del suo viaggio umano e spirituale. Grazie all’uso ricorrente di particolari combinazioni foniche, come assonanze e consonanze, il messaggio poetico della Lazzerini Di Florio acquista un’intensa armonia di suoni che evidenzia con maggiore vigore la profondità di contenuti delle sue composizioni, che spesso acquistano una valenza universale. Avvalendosi di una versificazione concisa, con prevalenza di versi brevi e spezzati, e di un lessico ricercato e maturo cerca invece risposte alle sue domande sul senso della vita. Un posto privilegiato nei suoi spazi meditativi è riservato alla natura, la quale con i suoi colori e palpiti assume interessanti significati simbolici.”

Una nota critica di Carmelo Consoli

Esemplare nel suo contenuto di poesia e umanità questo libro teso a rappresentare l’avventura esistenziale dell’autrice e dell’essere umano per esteso ; un volume molto curato

e frutto di una lunga meditazione del cuore e dell’anima di Simonetta Lazzerini Di Florio che ha ben evidenziato ogni aspetto del vivere quotidiano improntandolo ad una conclusiva

creativa spiritualità, in un comportamento a metà strada tra l’umano ed il divino. E’ ben nota la ricerca che l’autrice ha fatto nel tempo di un modus vivendi in grado di dare

rilevanza all’armonica bellezza della nostra vita nel suo breve passaggio terrestre. Dopo il transito dalla sua precedente esaltante poetica esperienza di  Abitare il giardino

l’approdo a questa nuova silloge è stato automatico, a mio avviso, ma è avvenuto attraverso l’approfondimento delle tematiche vitali e consolidato da un più raffinato e maturato

pensiero filosofico che ora traspare in ben tredici sezioni della nuova raccolta. Tutto ciò ha creato una nuova parola poetica ben più distillata , meditata,

contrastata tra dubbi e incertezze, senza perdere, anzi rafforzando le primigenie musicalità, leggerezza, luminosità.

Resta di fondo la sua grande filosofia della speranza , legata ad una connotazione fideistica sincera, limpida, che scava il mistero attraverso la bellezza dell’amore, la qual cosa anche se

risaputa, conoscendo le frequentazioni, la fede e le idee dell’autrice, ancora di più acquista in questo libro lucidità riflessiva, maturazione sapienziale, consapevolezza estrema di una

esistenza volta ad un Oltre che si proietta verso l’eterno.

Questa maturazione dà alla silloge una velata malinconia, un senso di tristezza e rimpianto per la trascorsa navigazione sul mare del vissuto e dei ricordi, ma questa tessitura dolce

amara è in fondo un resoconto temporaneo di avvincenti e travagliati orizzonti da oltrepassare in vista di un porto finale di consacrazione al divino.

E allora la nostra Simonetta nel suo viaggiare d’anima attua un intenso dialogo con sé stessa ed il mondo che la circonda , un tour attorno alla parola che scorga nella sua sacralità, nella

comunicazione di sé con gli altri, in attesa di una futura e finalmente sicura e trionfante navigazione.

E dunque ecco che i suoi passi e le sue soste tra ricordi, passionalità, coinvolgimenti, incertezze, fragilità ed esaltazioni la conducono al terminale approdo nei bellissimi versi

finali di una una sua poesia: ” Voglio rifugiarmi / nella casa del mio Signore / per deporre alla sua mensa / mani che tremano, occhi di paura. / AIlora  / mi prenderà leggera / con passo di

sorella / a danzare l’eterno / ” e al futuro, al lascito ereditario per un volo verso l’infinito e l’eterno: “Se non ti riconosci / nella via che percorri, attingi alla sorgente / che sempre si

rinnova / guarda alle nuvole / dalle mutevoli forme” e ancora: “ Se dimentichi / la voracità dell ‘ “io” / la vita ti apparirà / dono / d’amore disadorno.”

L’imprinting di un amore di fede verso Dio, nella pura tradizione cristiana è forte, trasparente, ed è un atteggiamento costruttivo e di speranze nella durezza del l’esistenza ma

mai scade in un fideismo sterile di pura ortodossia, anzi ne esalta il profumo e il fascino con una scavata introspezione all’intemo della sua anima in cui si insinua sovente, con intime

interrogazioni, la sofferenza di un mancato approdo salvifico e di un disagio per l’assenza temporanea di un aiuto dall’Alto.

Dunque la silloge scorre con incredibile leggerezza ed eleganza tra rappresentazioni di una natura colta con acquarelli freschi, colorati e profumati, con i temi più intimi delle persone

care, delle nostalgie del passato e anche con smarrimenti e certezze ed una diffusa, trasparente saggezza della parola che colpisce il lettore e aumenta il fascino della raccolta.

Sicuramente di grande interesse la costruzione del verso nell’autrice, frutto di lunga esperienza  e di attenta stesura ponendo sempre l’orecchio alla cadenza musicale e alla

scorrevolezza  dello stesso, e con una scelta linguista raffinata.

Complimenti quindi a Simonetta, perché la sua è una prova di grande spessore umano e letterario , una ultima fatica poetica sorretta da una grande certezza come recita a pag. 42:

“Se  combatto, /  combatto due battaglie: / una con Dio, l ‘altra con me stessa. / Ma sempre / esco  vittoriosa / da una sola .”

 

 Una lettura di Mario Sodi

Un viatico pasquale 

E’ un viatico pasquale questo libro di Simonetta Lazzerini Di Florio, fonte di meditazioni sul “Seme dell’esistere”: da dove e perché in noi e quanto

vera e dove ci conduca la nostra “Passione d’essere”.  Ma l’autrice ci soccorre subito accortamente con le parole del grande Vittorio Vettori:

“Un’arcana memoria sorregge e guida i miei passi … balugina nella mediocre miseria dei giorni grigi, mi appare in sogno come una strana

presenza larvale” .

Il percorso esistenziale/poetico di Vettori ci riporta nel viaggio terrestre/celeste dantesco, com’è giusto che sia data l’impareggiabíle

familiarità di Vittorio con la poesia del Sommo Poeta. Muoviamo allora i nostri passi dai momenti più profondi che risuonano fin

dai primi versi. In Simonetta Lazzerini Di Florio il “viaggio” nasce dall’individuazione di un percorso fra memoria, tempo e sogno, che ci

accompagnerà lungo tutto il libro. E si possono intuire le coordinate: “Una voce che esce dal silenzio”: la voce è il segno della vita nella nuova

creazione che si libera dal Silenzio e lo libera trasformandolo nell’infinito dello spirito”. E’ voce che illumina (indica la via); che

chiama (esige la fedeltà all’Origine); che prorompe (esce dall’io per ricrearsi/rigenerarsi). E”, perciò, essere “solitudine e moltitudine insieme”

(dove il termine “insieme” esplicita la necessaria consuetudine umana con l’altro); ed è “verità” – non babele, è “retta senza origine”

(razionale) “né fine” (perché – infatti – infinita).

Queste notazioni fondamentali per la comprensione della poetica dell’autrice, si intuiscono esaminando questa pagina che sta fra il “passo”

e la “sosta” come ammonimento per il Viaggio (14).  Ma per il “passo” occorre  “vivere il giorno / attimo per attimo”  dilatando il tempo per unire

passato e presente (“viene come onda lunga / la memoria”) sulla “riva” (il presente) che “spumeggia appena” (si avverte una sensazione

buona /dolente in quel termine “appena” –  a-pena).

Il passato (restando sulle significative immagini marine) è “il mare d’inverno / tutto chiuso / nell’assoluto del suo mistero”: ecco una sosta che

diviene “contemplazione” ed anche attrazione/tensione dell’umano verso il divino, com’è del resto in tutto il pensiero poetico di Simonetta.

Dobbiamo naturalmente considerare che questo libro non è un libro “religioso”: è un libro d’anima, un “riscatto d’anima”, un breviario del

de-siderio d’Amore che dalla dilezione delle creature della terra sale alla contemplazione di purissimi cieli.

E’ ovviamente anche un libro dove si incontrano versi bellissimi, parole che ci sorprendono e ci interrogano sul senso più vero dell’esistere.

Fra i  versi che più mi hanno commosso ci sono quelli di “Viva la vita”. Vi troviamo parole/immagini che aprono alla intelligenza del testo poetico.

Sul “pozzo”, mistero/angoscia di una realtà insondabile, c’è il bagliore di una luna che riveste di sé l’inconoscibile. L’immagine di sosta/pozzo è

anche in quel termine “tentazione” (di fuggire? di uscire?: da notare che il poeta non sta chiuso nella stanza ma “sulla soglia”, dove infatti

“l’evento che aspettavo / mi attraversa e scompare”: perfetto come il resto, fino al magico finale: “E sugli ulivi sta sospeso il tempo”. C’è un’attesa .

che non tarderà a manifestare l’Evento. Dirà infatti in un’altra poesia: “Che importa se la Terra / ha misure e confini / quando il cielo è infinito?” (85)

C’è veramente da essere grati a Simonetta Lazzerini Di Florio per questo libro così vivo, ricco di memoria ed aperto alla Speranza, per la sua

“passione d’essere” che muove l’Universo.

 

Una lettera all’autrice di Liliana Ugolini

Cara Simonetta,

per lungo tempo, pur frequentando gli stessi ( o quasi) ambienti letterari, non ci siamo conosciute poi, in occasione della presentazione del libro “ La corte degli Arlecchini” scritto con Mihaela Cernitu ho incontrato la tua generosità e l’attenzione alla scrittura altrui. Nel leggere ora il tuo bel libro  I passi e le soste edito dalla Florence Art trovo conferna di quanto sia necessaria per te la scrittura degli altri, segno e base arricchente per chi se ne nutre. Infatti la tua poesia è densa e raffinata e mi fa partecipe di un’essenza che comprende, pur nel tuo stile, echi di voci poetiche, rimembranze. La sublime religiosità del tuo sentire, ci coinvolge come una preghiera necessaria. I tredici temi che hai dato al tuo percorso, dicono verità interiori e cosmiche. Le considerazioni hanno l’humus della terra sofferta e la levità del dire denota una delicata sensibilità. La ripetizione dei versi dà alla tua opera una musicalità cadenzata come un basso continuo e accompagna le parole /note del testo. L’imponderabile mistero sfiora la speranza e si fa coscienza e coraggio. La consapevolezza ma è da vecchi, costretti a fermarsi, con sguardo ormai appannato, che si vede di più  è saggezza del vissuto. Le tue dediche permeate di memoria danno vita a chi non c’è con la malinconia dell’esserci stata. Fermare gli orologi non ferma il tempo ma le ore perse ritornano tra ombre di antichi muri. Anelare un orizzonte dove è già stato il tempo che verrà è davvero saper vedere oltre. Il tuo dire è buona poesia che si racconta in una dimensione dove L’Arte ( del dire) trasfigura e ricompone la sostanza del darsi. Ti faccio i miei complimenti per questo libro davvero notevole dove la poesia spazia nel tempo piena e riconoscibile. Grazie per il dono dell’oggetto libro e per la graditissima lettura.

Con stima e simpatia.    Liliana Ugolini

 

Un’ampia analisi critica di Giovanni Bosco Maria Cavalletti

Dalla radice dell’animo, la Parola: primo sussulto della Libertà, espressione intelligibile di una intuizione che genera coscienza, che brama ricerca, che anela conoscenza. E’ l’inizio del nostro io, è lo scorrere della nostra esistenza, è il punto d’arrivo, evanescente ancora tra i rigagnoli della nostra vita. Di qui Simonetta Lazzerini Di Florio prende le mosse per un’indagine poetico-filosofica sulla coscienza del nostro esistere, singolo e collettivo. E inizia il viaggio, un percorso con meta il presente. Un presente lontano, passato e attuale allo stesso momento. Le categorie del tempo si fondono e il nostro io è ineluttabilmente attuale. Morde e consola, spera e ama, fluttua tra i ricordi e gli aneliti, rincorre e rivive presenze lontane, a loro volta ancora viventi in dimensioni intuite ma non ancora penetrate, corre sentieri futuri. E’ la nostra storia individuale, è la nostra storia comune.

Nel ginepraio delle tante parole che la moltitudine degli individui, comunione ancora in fieri, informe rigurgita sugli effimeri riempimenti di vite distratte, consola la speranza che ci sia sempre qualcuno al parapetto del fiume, la biciletta ferma, a contemplare in solitudine lo scorrere pigro dell’acqua,/ a guardare/ nel fondo e pazientemente attendere quella chiara voce che dal silenzio illumina chiama prorompe. Momenti di grazia che non prescindono dalla dolorosa catarsi che la stessa parola, ai sensi ostile, opera ribaltando all’esterno, agli altri visibili, i vizi già ingenuamente nascosti. Ed ecco palesarsi, in un ingeneroso confronto, il piccolo rigagnolo e il grandioso oceano Polare. Da quell’oceano, comunione compiuta, la voce afona di chi ci ha amato ed ancora ci ama al di là del nostro tempo, che già fu suo.

Dolorosa parola, “sorella” da amare. Insufficiente parola, però, inadeguata ancora, troppo corta e troppo oscura/ per contornare colui che é al di là d’ogni confine/ il futuro che ci precede e libertà che ci sorpassa,/ soglia su un domani/ sempre già iniziato/: punto di partenza e punto d’arrivo di quello stesso io, origine o causa della nostra parola.  Ma ecco che egli stesso si mostra qual è: Parola: Parabola evangelica/…/tenera nella sua semplicità/: immediato, esaustivo e permanente è il suo comunicare, generoso è il suo donare, in ogni dettaglio/ senza angoli oscuri/ durante la vita,/ … /ti viene a visitare/ con nuovi spazi/ e ben altre profondità .

E a noi, precari protagonisti su un segmento intermedio di una retta/ senza origine né fine/, destinatari gratuiti del suo donare, un vento caldo di deserto/ sferza il corpo/ e secca la gola: il nostro silenzio, colma l’ansia del vano parlare. Non è vano, però, il parlare per l’altro: mentre le parole dell’io/ non hanno ali/ … e fanno molto rumore/ che non serve/, le parole per l’altro/ sono gocce di luce/ che illuminano il buio della stanza/. Sanno camminare sulle acque del mare. Una barca le guida.    Il volto in alto, proteso all’azzurro dei cieli, l’animo saldo/ va/ dove si deve/. Sulle acque, al di là delle acque. Il punto di partenza è già punto d’arrivo perché all’altra sponda ci aspetta colui che ivi ci conduce. Prima che la barca, sicura, fluttui verso il porto agognato, il riflesso del remo infranto, plasticamente restituito dallo specchio dell’acqua, attraversa il dolore per Trasformarlo in forza. E’ a questo punto che il mezzo di trasporto si spoglia della sua materialità: diviene vento che ne conserva le forme. E culla.

Appagata, la silente parola diviene respiro, aura vitale, alito stesso del traghettatore che dirige il timone, guida e meta allo stesso tempo. E’ pronta, ormai, ad essere chiamata uomo, piccolo è vero, ma che avanza tra le creature del mare.

Sotto di lui sinuose presenze.

Tra le creature dell’aria.

Sopra di lui radenti voli.

Nel tripudio della luce, il piccolo uomo/ che avanza/ si riscopre cerniera/ fra due infinitudini/.

Freddo, nell’assoluto del suo mistero, il mare d’inverno/ … sembra esistere solo per se stesso.

Mutata dal gelo/ la terra/ lo rode di selvaggio.

Eppure un irresistibile richiamo esercitano quei mondi fusi in un afflato di glaciale splendore: preludio all’ora quieta in cui nuvole e mare/ avvolti in un cielo/ di tenerezza,/ disvelano, insieme, la linea dell’orizzonte, sublime teatro delle vicende umane, dopo che Venere, frutto generoso di quel connubio, da quelle acque sorge con su di sé indelebilmente impressi i segni dell’umana bellezza. Si è pronti per vivere il giorno/ attimo per attimo/, e viene, come onda lunga/ la memoria/.  … Un vento senza urlo l’accompagna…/.  Non fa rumore, spumeggia appena la riva allorché, come d’incanto, i fremiti della sofferta terra e il compiersi dell’atteso cielo, penetrano quell’io ormai cosciente abitatore di uno spazio e di un tempo indefinibili.  La rassicurazione del raggiungimento di nuove mete spirituali, inalienabile esigenza per una umanità così rinnovata, è mirabilmente espressa dalla poetessa con   l’imprevisto uso di un passato remoto che ben rende, esaltandoli, gli accenti profetici che sembrano connotare il futuro di tutte le genti: … allora vidi un cielo che calava/ al colle/ al mare/ … sentii la notte/ non ancora apparsa/ … Tutto d’intorno s’addensava/ in voci sussurrate,/ … sentivo le parole fuggire con la brezza/ … avvertivo le lacrime/ fondersi con la luna…/ Vidi e tremava il corpo mio/ vidi/ e tremava/ il nuovo del mio essere.

Tra passi e soste germoglia e si sviluppa, in questo armonioso amalgama tra Mare, Terra e Cielo, il seme dell’esistere. Come pulviscolo denso/ esso si deposita sui tetti/ sulle strade sui campi/ sul mare… Ogni creatura ne ha ricevuta/ la sua parte/. Ciascuna esistenza segue un suo personale, misterioso percorso, ma i rivoli/ che si diramano/ testimoniano la comune sorgente. Non è difficile identificare con il Creatore tale fonte, insita nella fatica del vecchio/ … nell’affanno convulso/ dell’agonizzante/ … in ogni filo d’erba…/ … in ogni alba/ nel peso dei doveri quotidiani/. Costante ritorna, nella sua accezione filosofica, il concetto del Dio necessario: Se così non fosse/ il mare non avrebbe la sua onda/ … né la terra il suo cielo/ … né lo stormo il suo andare. Libero, però, rimane l’essere nel dettare la sua agenda e nello scandire i tempi del suo divenire: il primo giorno dell’anno/ che in una visione traslata potrebbe rappresentare l’incipit di ogni singola esistenza, inaspettato dono/ …non basterà da solo/ a vincere il torpore/ di giorni a venire/ quando scorie amare/ mineranno il seme dell’esistere/. Con la vita, incommensurabile dono, quindi, la libertà. Un libertà consapevole con in sé insiti i mezzi per proseguire responsabilmente il proprio cammino, anche quando perdite e lacerazioni, che improvvise violentano storie e ritmi di vita, occultano ai nostri occhi la figura del traghettatore restituendo materia a quella barca già fatta di vento.

Ma proprio quando la nebbia/ cala sipari/ di dense opacità/ e stende sospiri nell’indefinito/, avvolgenti silenzi di luce si offrono ad illuminare il come e il quanto dell’incognito che sta dietro la porta/. Brume trasparenti, generose di un invito senza uguali, aspettano pazienti la nostra decisione: socchiudere appena o spalancare la porta che ci conduce alla verità? E’ il grave quesito che prelude l’inizio dei viaggi interiori.

Se si decide di procedere occorre combattere due battaglie: una con Dio,/ l’altra con se stessi, ma la poetessa non ha dubbi: …sempre/ esco vittoriosa/ da una sola/. Fede e ragione, dunque, parti integranti dello stesso io, rispettose del reciproco ruolo, disgiunte ed unite allo stesso tempo, concorrono al raggiungimento di un unico fine: la conoscenza. Ma come varcare i limiti connaturati alla finitezza spaziale e temporale del nostro personale segmento, intermedio di una retta/ senza origine né fine? La poetessa soffre questa precaria condizione cognitiva e senza appello ammette la sconfitta della ragione. Lo fa nel luogo ove la terra ancora conserva gli spenti resti di vite terrene, dove ella si reca per un’abitudine/ paziente e umile alla vita,/ per una dolente/ universale compassione. Ma ecco il paradosso: la sconfitta della ragione non è la sconfitta dell’uomo.

Là dove si consuma l’ultima sosta terrena dei compagni di viaggio che hanno esaurito i passi dovuti, un nuovo senso, che sa di libertà, si libra nell’aria: l’attesa. E’ l’attesa del sabato di Passione:/ nascondimento di Dio/; è Giovanni Battista che, roccia e carne penitente/ profetizza nel nome dell’Altro; è lo specchio dei nostri desideri: Come i bambini:/ già alle prime brume vagheggiano il Natale/ i doni, la magia della festa…/; Perfino il fiore/ in attesa di aprirsi/ insinua a una bellezza/ che rapisce ed esalta…. Quale sarà il vago presagio di futuro che tra fragranti olezzi di gelsomino, agli occhi socchiusi disvela appena un sogno? Sarà il ritorno alla primigenia innocenza, che la lunga onda della memoria, su ali d’infanzia, ritorna a lambire la mente? Sarà l’illuminante raggio di sole che renderà lustrale la nostra pozzanghera? Sarà il saper cogliere dalla finestra/, finalmente, la preziosità della vita? Sarà il saper cogliere, finalmente, il diritto/ alla diversità/… che è ricchezza,/ prisma che ad ogni mossa/ svela luce e colori?

Potrà mai la ragione, da sola, ordire una trama compiuta che dia soddisfazione reale a desideri concreti che il vago presagio di futuro estrinseca in un sogno ad occhi socchiusi?   Sa bene, ella, che necessita un vero riscatto dell’anima; che occorre andare oltre il perdono; che bisogna volere e saper cogliere l’infinto dello spirito; che necessario diventa elevarsi oltre se stessa, ove nulla può il suo argomentare. Di qui la richiesta d’aiuto, implorante e pressante, inno e preghiera allo stesso tempo, che la poetessa eleva all’omerica maniera: Fede e ragione/ se di un angelo/ siete le due ali,/ tenetemi stretta a voi/ per il volo più ardito,/ per portarmi vicino all’Uomo nudo/ che si offre/ spoglio d’ogni potere/ ombra sul muro, luce/ ad occhi spenti. Spogliarsi d’ogni potere per offrire; essere ombra e spegnere i propri occhi per illuminare; morire per vivere: è il capovolgimento della logica su cui poggia la stessa ragione.

E’ la risposta, nel contempo, all’irresistibile richiamo all’infinito, nonostante la consapevolezza della caducità umana. Questa è, a mio avviso, una delle principali chiavi di lettura delle successive sezioni dell’intera silloge. I passi, le nostalgie, le soste, la rievocazione dei compagni di viaggio, la passione d’essere, la casa, la consapevolezza dell’ultimo approdo ed ancora oltre il richiamo del futuro, accompagnano il lettore in un percorso esistenziale che se da un lato testimonia la comune radice d’essere, impone, dall’altro, una definitiva, ma individuale risposta. Da questa esplode la Vita/ O la Morte. Chi dite che io sia?

E’ l’ineludibile domanda che l’Uomo nudo, luce ad occhi spenti che …nella carne/ ha conosciuto/ l’inquieta oscurità del divenire, ma che in un eterno vivere comincia dove inizia l’ora/ …estrema dei moribondi…, reitera a ciascun essere nell’ultimo atto del personale libero arbitrio.