Francesco Luti, La goccia che scava, Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze 2013

 

 

Romanzo di Francesco Luti, scrittore, ispanista e traduttore letterario.

Felice Centori insegue in Spagna il confuso ricordo del padre, un volontario “internazionale” caduto nell’inverno del 1937 nello scontro con i fascisti inviati da Mussolini alla guerra di Spagna. Siamo nel 1958 e il fiorentino Centori, insegnante trentenne, ottiene il trasferimento presso l’Istituto italiano di cultura di Barcellona. L’amicizia con un gruppo di giovani scrittori catalani; il ritrovamento di carte che “scottano” provenienti dall’Argentina; un viaggio da Barcellona a Madrid in vespa in un’estate rovente alla ricerca dei resti del padre; un imprevisto arresto, e l’amore per una ragazza spagnola contribuiscono a maturare Felice e a rendere avvincenti queste pagine. Firenze e Barcellona, città-radici del nostro autore, sono lo scenario in cui si muovono i personaggi, e dove Luti ci accompagna grazie a un linguaggio originale capace di sostenere la vicenda del protagonista che risale in profondo la propria storia di uomo.

“Raramente ho incontrato, come nella persona di Francesco Luti, una inquietudine così schietta, e così vera, una così palpitante sensazione del vivere, avventurosa e responsabile al tempo stesso, unita a un’affettività prorompente.” (dall’introduzione di Marino Biondi)

Una nota critica di Angelo Australi

La goccia che scava, di Francesco Luti, è un romanzo scritto con un’attenzione particolare allo stile che evolve consapevolmente in una trama, passando al setaccio il ruolo dell’intellettuale testimone degli eventi della guerra civile spagnola e le conseguenze della dittatura franchista. Rientra in quel filone della letteratura italiana dove la storia fa da orizzonte all’analisi esistenziale della vita dei personaggi, e anche il lessico si cala coerentemente nel clima di un epoca dove, per trovare una forma di coerenza utopica, diventa indispensabile circoscrivere uno spazio d’azione nel quale incontrare la realtà.
Nel bisogno di scoprire dove è sepolto il padre, un intellettuale fiorentino morto in uno scontro con i fascisti inviati da Mussolini alla guerra di Spagna, di cui nessuno sa dove sia finita la salma, si nascondono le motivazioni etico psicologiche del figlio.
Felice Centori di suo padre non ricorda altro che il gesto di andare a combattere a fianco dei Republicanos. Nel romanzo, che si sviluppa intorno alla ricerca del luogo di sepoltura del padre, c’è intrinseco il bisogno di capire quella sua decisione, perché così il figlio spera di incontrare se stesso sentendo più vicino un passato che sta ricostruendo solo grazie al racconto di chi lo ha conosciuto in vita.
Ecco perché a mio giudizio La goccia che scava è anche, e soprattutto, un romanzo di formazione.
La trama si sviluppa come l’indagine di un detective che attraverso un percorso verso la bellezza, trova la consapevolezza della vita reale, dove c’è l’amore, la famiglia e gli amici della gioventù che si allontanano, dove si diventa a sua volta padri. La letteratura è un punto di vista sul mondo, ma questo privilegio non si acquista mai nella stagione dei saldi, fa parte di un percorso impervio, dove è obbligatorio fare i conti con se stessi, consapevoli che comunque la finzione della scrittura produce una realtà riflessa da uno specchio, e che alla fine si spera sempre di tornare alla vita, a cercare l’uomo.
La storia si svolge fra Firenze e Barcellona, in un trentennio che va dal 1937, anno in cui muore il padre, al 1958, quando Felice Centori ottiene il suo incarico presso il Centro italiano di cultura di quella città, e si riflette a ventaglio sugli anni ‘Sessanta. La trama si cala in quegli anni, cerca di trovare un punto d’incontro tra le due città con una dettagliata ricostruzione storica del fermento intellettuale, intrecciando la cultura spagnola, costretta alla clandestinità dal franchismo, a quella italiana, e fiorentina in special modo, che già negli anni cinquanta, uscita dalla tragedia della guerra e dal fascismo, polemizza con le illusioni del boom economico. Il clima culturale era alto, e Francesco Luti lo racconta dettagliando gli eventi ed i personaggi di quel periodo storico, ai quali Felice Centori si lega per cercare di capire chi fosse suo padre.
Le varie tematiche sono tenute insieme da una forma ed un tono della scrittura veramente originali, dove la commistione tra lo spagnolo e un italiano arricchito di una certa toscanità, producono un flusso fluidificante e coraggioso che finisce per affermarsi nella consapevolezza del primato della scrittura.
Francesco Luti si è inserito da molti anni nella vita di Barcellona, dove ormai lavora. Questo parallelismo tra le sue solide radici fiorentine, legate anche alla figura dello zio Giorgio Luti, con il presente vissuto in Spagna, traccia uno spartiacque che emerge dalla sua scrittura come un fiume carsico. L’acqua, prima di zampillare in superficie, ha fatto un lungo viaggio nei cunicoli rocciosi delle profondità della terra e così, in questo spostarsi, ormai diviso, combattuto dai condizionamenti delle due lingue con le quali parla, e scrive, c’è l’istanza di trovare una propria autenticità poetica.
Lo ammette l’autore stesso, in questa frase del romanzo messa in bocca al suo personaggio:
“Eppure Felice amava la lingua spagnola che gli fioriva in bocca quotidianamente poiché la lingua straniera è lingua dell’intelligenza… E adesso quel parletico che udiva seduto in corriera, gli fece pensare a tutto un discorso sulla lingua materna e straniera, e anche al fatto che le radici si possono piantare da altre parti e averle altrettanto sincere.”

 

Una recensione di Teresa Paladin

Francesco Luti  nasce a Firenze nel 1970, è dottore in Giurisprudenza e in Lingue e Letterature Straniere. Nel 2012 ottiene il titolo di Dottore di ricerca presso l’Università Autonoma di Barcellona dove insegna  letteratura spagnola  e in questa città  attualmente vive. Da anni collabora con numerose riviste di letteratura internazionale dove pubblica le sue traduzioni dei maggiori  poeti contemporanei di lingua spagnola e portoghese, inoltre suoi  racconti sono stati pubblicati e tradotti in riviste italiane, spagnole e brasiliane.

Sua è l’antologia Poesia spagnola del Secondo Novecento edita da  Vallecchi NEL  2008.

Come narratore esordisce nel 2006 con Millepiedi.  “Antognoni. A testa alta.Il cammino del Sarrià” è l’ultimo romanzo pubblicato da   Mondadori nel 2014.

La goccia che scava è il romanzo del 2013, edito a Firenze da NICOMP.

Spagna e Italia, Barcellona e Firenze fanno da scenario alla vicenda del protagonista della Goccia, Felice Centori.

Due città  che però non sono soltanto scenari dell’azione ma in qualche modo contribuiscono alla narrazione perché sono entrambe luoghi di risposta alla sete di vita e libertà del protagonista, due città dove si gioca l’unica  partita che conti: quella dell’esistenza condotta non in solitaria ma con ottimi compagni di squadra, parafrasando il linguaggio calcistico.

Firenze e’  la citta’ che riverbera di cultura e splendore,  una città amata fisicamente per i suoi fiumi e i  ponti,  che “sono le giarrettiere della citta’…….passandovi sopra avvertiva sempre un senso di raccordo, di unione delle parti”.  Barcellona  si rivela città dinamica:  tra balconi fioriti, giovani artisti di strada  e il Paseo de Gracia lo conquista  a tal  punto che “vista cosi’, come poteva essere Barcellona la citta’ di una Spagna dittatoriale?”.

 

La storia inizia nel 1958 con un viaggio  da Firenze a Siena del protagonista. E’’ passato un anno dalla morte della madre e  l’incontro con  Mario Girasoli, volontario come il padre Giacomo nelle Brigate Internazionali della guerra di Spagna è fondamentale perché  Il professore è l’unico legame rimastogli con la memoria del padre. Da qui si dipana il primigenio  conduttore della storia: la ricerca delle radici, la riscoperta della memoria del padre, perso a 9 anni per amore della libertà.

Combattenti entrambi nel  Battaglione Garibaldi, Mario Girasoli e Giacomo Centori vennero  incorporati nella XII Brigata Internazionale che a Guadaljara combatté proprio contro gli italiani inviati da Mussolini. Emerge uno spaccato significativo  di umanità fraterna e consapevole, quando il professor Girasoli  narra dei fascisti delle truppe volontarie:

“Catturati i prigionieri, li interrogavamo dopo averli nutriti, e non ci voleva molto a comprendere la confusione regnante in quelle teste. La convinzione che la retorica fascista col suo fumo gli aveva fatto respirare scompariva di fronte alla realtà della guerra, alla morte toccata con mano, alle ferite, alla fame e alla sete”. Qui troviamo una caratteristica decisiva del testo: ci sono avversari sul piano delle idee e dei  valori, ma non ci sono nemici da abbattere nel romanzo, solo scelte di campo.

Tornato a Firenze, i ricordi del passato affollano la mente di Felice e si intrecciano alla narrazione. La trama dei ricordi è una caratteristica essenziale che perdura per tutto il romanzo: l’aspetto privato dell’esistenza si intreccia con i ricordi “di tutti”, Infatti i ricordi personali sono sempre collocati in un quadro più ampio storicamente e culturalmente.

La vita personale e familiare e la Firenze della cultura e dell’antifascismo, la storia contemporanea  procedono insieme narrativamente .

Troviamo così, solo per citare alcuni elementi, la madre  che  ospita in  casa sfollati ed ebrei e il ricordo del  cardinale Elia dalla Costa che sbarrò le finestre dell’arcivescovado mentre la città osannava Hitler.

Ancora: il giocatore Menti della Fiorentina, la strage di Superga del ’49,  la fucilazione di 5 uomini il 22 marzo 1944 alla torre di Maratona dello Stadio.

La collaborazione di Felice, studente universitario,   a “Il nuovo corriere”,   a cui collaboravano Calamandrei e La Pira, e le conversazioni con Bilenchi sui fatti del ’56 di Poznan e Budapest.

Col saluto di Bilenchi,Ah, Felice ,ricordati di stare sempre dalla parte della verità, come fece tuo padre”  inizia l’avventura spagnola, per l’incarico vinto ad insegnare in un istituto di cultura italiana. Qui  Felice conoscerà Josè Agustin Goytisolo,  il poeta che fu uno degli autori più importanti della generazione degli anni ‘50, più precisamente nella “scuola poetica di Barcellona”.

Il protagonista entrerà così a contatto con un numeroso gruppo di poeti ed editori, scoprendo,   in epoca di dittatura,   forme alternative di creazione del futuro, da parte di questi intellettuali  che leggono e traducono testi italiani e francesi e mantengono contatti con Gallimard ed Einaudi.

Emerge in questo contesto un tema centrale che attraversa tutto il romanzo :  la letteratura  non è confinata   a produzione privata o confronto letterario  ma è ritenuta capace di restituire spessore ai valori democratici  compromessi da un potere soffocante e dittatoriale.

Durante una cena abbiamo l’enunciazione della  poetica”   del protagonista e dei suoi amici: lo scrittore deve impegnarsi nel rapporto con la realtà.

Rifuggendo dall’isolamento  “la letteratura deve aiutare gli uomini a capire la vita,  a trasmettere verità morale, a scavare nella sofferenza umana”

Leggiamo qui  l’elogio di Pratolini perche’ nelle sue pagine il mondo viene letto e presentato, offrendo un quadro realistico della realta’  di tutti.

Si respira in queste pagine  la responsabilita’ della letteratura e una complessiva urgenza di rinascita culturale e civile.

Nell’estate del ’63 , Felice si reca  in vespa  alla piana di Guadalajara dove nel 1937 era morto il padre. Si approfondisce a questo punto  il tema della memoria, di una solida memoria storica che sappia affermare virtu’ quali l’onestà e la verità, la difesa della libertà e della giustizia.

E’ ’ interessante in questo senso l’arrivo al cimitero di Fuencarral.

Questo luogo  diventa il simbolo di come, in terra di dittatura, la memoria storica debba necessariamente essere distrutta: sulle lapidi di Fuencarral Felice non troverà  nessuna traccia di nomi  italiani. Un inserviente disponibile gli svelerà l’arcano:  per volere di Franco  prima era sparita la lapide dedicata alle Brigate Internazionali , dopo due anni si ordinò di gettare i resti inumati in una fosse comune, dopo altro tempo  vennero  mandate le guardie civili con le ruspe a scavare il terreno: senza nessun rispetto per i nemici di una guerra già vinta e finita, i corpi vennero ammassati, cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Le ceneri disperse in un boschetto.

Uno stratagemma tipico delle ideologie dittatoriali: senza memoria storica si occulta la realta’ , si cancellano le tracce del passato e il presente viene raccontato attraverso  la manipolazione del linguaggio.

Si arriva così alla terza fase del romanzo col matrimonio tra felice e Ana,  la decisione di trasferirsi a Lisbona  e in autunno il viaggio di nozze a Firenze. Gli avvenimenti della notte tra il 3 e il 4 novembre 1966 concludono  gli eventi con la solidarietà operativa dei fiorentini  e una nuova  tragedia che si assomma al disastro collettivo, quando Remo,  l’amico fedele di una vita, viene trascinato via dall’ondata della piena nel tentativo di salvare un anziano. Il piccolo Giacomino, figlio di Remo,   sta purtroppo a 3 anni replicando la  stessa sorte del protagonista, rimanendo  orfano in tenera età.

I nuovi eventi  ripresentano nella loro totale drammaticità un tema già evidenziato nel corso del romanzo,  quello dell’Amore, sperimentato per le città amate, Firenze e Barcellona , e per le persone: Remo, Ana, gli amici fiorentini e gli intellettuali catalani, Laura e il piccolo Giacomino. Quell’amor che move il sole e le stelle  “chissà perché lo paragonò alla goccia che scava”.

Questo è un Amore che non è un sentimento  gridato o  esibito, calato sul filo della passione, è un amore radicato, legato all’anima, alle persone e ai luoghi che contano, a determinati valori,  un amore riservato ma costante.

E’ un bene che si collega al cuore e alla ragione, alla capacità di  comprendere il  senso delle cose, di riflettere sul proprio personale destino umano.

Da questo amore  emergerà la scelta della via futura da intraprendere per i due sposi tra i dubbi dell’ andare o del restare.

Lo stile di Luti è peculiare, il linguaggio è volutamente ricercato, con la presenza di vocaboli non usuali e di ambito  letterario,

Un equilibrio misurato e razionale determina in ogni caso la scelta delle parole, con l’originalità di uno stile nuovo per la frammistione di vocaboli spagnoli e  brevi frasi riportate direttamente in lingua originale, in una mescolanza linguistica  nuova  che cattura l’attenzione.

Un abile utilizzo della sinestesia a livello prosastico,  come quando “Felice pianse un sorriso” per Giacomino, si accompagna a un uso di  vocaboli applicati in   campi semantici inusuali: “Oltre la vetrata si muoveva l’arnia di tassì di una Barcellona affaccendata oppure “Con la Liguria a sceneggiare dal parabrezza e avanguardismi linguistici, come il “sole declinava marcendo purpureo oltre le finestre”.

Tutto a sottolineare uno stile personale intrigante ma  ricco contemporaneamente di profondità, che induce alla riflessione mentre aggiunge vivacità alle azioni narrate.

La narrazione diventa  decisamente  dialogica quando nelle conversazioni si affrontano tematiche   culturali, come quelle finalizzate a definire il ruolo della letteratura nella nostra epoca.

Le pagine sono avvincenti, non si registrano cadute di stile o di ritmo, Nonostante  I piani della narrazione siano multipli risultano ben articolati nel plot narrativo.   Sono  tre i  grandi temi di questo romanzo: l’attaccamento alla memoria storica  su cui è possibile fondare la libertà del presente nel ripudio  delle dittature, l’amore come collante  umano  che permette la capacità di scelta e orientamento nel cammino da intraprendere, la letteratura come passione , non  imprigionata nella sfera di abilità privata ma come passione  collettiva  per l’enunciazione di una poetica che, prima di tutto, acquisisce un valore morale.

Luti ci presenta in questo romanzo l’inquietudine degli intellettuali, pronti  a schierarsi contro ogni forma di manipolazione della parola, rigorosi  nel rispettare onestà e verità quali fondamenti della propria ricerca e azione.

L’impegno dello scrittore  come dovere e necessità verso la nostra società di oggi si fonda sulla certezza  che la letteratura non ha effetti immediati ma, nel tempo, ciò che semina raccoglie. Come pensa Felice: “la cultura non ha senso se non aiuta a capire gli altri e a evitare il male”.