E’ uscito a maggio 2017, per le edizioni di Pianeta Poesia,  Interni con figure di Franco Manescalchi.  Il volume raccoglie l’opera pittorica del poeta. Dopo una nota di Alberta Bigagli, ci sono interventi di Giampaolo Trotta, Silvia Ranzi, Maria Teresa De Chiara Simoncini e dello stesso autore.

Le tavole sono raccolte per temi: l’amore, l’assenza, i poeti e gli altri, sulla strada, a pugno chiuso, azzurra. Sette testi poetici si inseriscono tra le sezioni.

Davvero Ut Pictura poesis: Franco Manescalchi poeta e pittore, oltre che infaticabile operatore culturale, ne è un chiarissimo esempio e questo volume ne è prezioso documento.

 

                                                  

 

Un commento di Anna Vincitorio

Perché interni? Vuole essere una visione limitata del mondo o al contrario esaminare nel profondo l’uomo, la sua humanitas, il suo essere che assomma in sé  l’altro che è fuori? I pensieri, l’amore, i silenzi partono da ciascuno di noi, si confrontano assumendo una valenza oggettiva.

Franco Manescalchi ha due strumenti: il segno e la parola. Un volto femminile: una Kore, fanciulla seriosa, labbra strette, occhi che indagano quel mondo che Franco osserva nella sua quotidianità ma con la mente volta alla ricerca “di pepite d’oro/ nel crepuscolo alto dei viali”.

Occhi verdi; poche linee che s’incontra­no in un abbraccio, chiaroscuri. Quasi sempre profili femminili. Cosa ha inteso celare l’artista nella parte nascosta del volto? Lascia a noi l’indagine. Si susseguono colori, riquadri di finestre immaginate su cieli dei quali si percepisce l’azzurro. Si passa, nel proseguire, a tonalità sul verde. Un uomo, lo sguardo obliquo. A lui contrapposta, una donna dal busto scoperto, tratteggiata col viso in ombra. Non può esserci incontro di sguardi ma è come assistere a un dialogare tra due opposti silenzi. Il silenzio è vitale per un artista e si manifesta attraverso il colore e il colore rivela l’attimo vissuto, le aspettative, l’angoscia.

Dall’amore corrisposto o meno si passa all’assenza. Il poeta è cieco. Tutto è lontano, sfumato in ricordi antichi. Si rivolge all’immaginario del tempo andato perché riviva. È come un rivisitare col segno e la parola la famiglia, i cari di un tempo. Quel ripetersi quasi ossessivo dei volti denuncia storie vissute ma non raccontate; l’interpretazione al lettore che dovrà decifrare le parole non dette ma pensate e le visioni che quegli occhi hanno percepito e che si dilatano in ombre in un tempo di attese che va vissuto e accolto nel suo dipanarsi. Il pittore è un poeta che scrive “versi nell’aria/ con la penna estrosa delle rondini…”; lui è “come l’erba dei campi/ che cresce e basta/ diretta verso il cielo”.
Come attraverso una pioggia battente si delinea il volto di Wladimir Majakowskij: poeta “ingombrante”, fortemente critico contro il mondo letterario del passato, contro i burocrati e il decadentismo.

Poeta futurista d’avanguardia che dà struttura alle immagini. Forse questo lo accomuna a Franco Manescalchi, idealista e lottatore.

Riporto alcuni versi di Majakowskij:

“Come coda di pavone la fantasia spiegherò in un cielo / screziato / darò l’anima in potere d’uno sciame di rime / inaspettate / Voglio di nuovo sentire come zittiscono dalle colonne / dei giornali / quelli /

che, accanto alla quercia che li nutre / scavano le radici con i grugni”. (1)

Nel proseguire l’analisi dell’opera, le immagini s’incupiscono per poi tornare alle donne. Anche se  “cammini sorretto dai tuoi anni/ virili, sprezzati/ da infrante colonne/ di fumidi spettri che/ te insidiano/ mentre ferito

aspramente cammini”.

Il poeta è irato e ci dà un’immagine “a pugno chiuso/ e nel mio pugno c’è la dinamite / di un gesto che  doveva essere compiuto/ pure contro chi inquina la bellezza”.

I corpi femminili si delineano nudi, indifesi o provocanti? I volti, seriosi. All’artista la risposta.

Il libro si conclude con Azzurra di Hugo Arévalo.

La ragazza allegra: “era bianca… / era rossa… / era stella…/ fu inghiottita dal buio”.

Ma ci sarà un ritorno alla vita inaspettato.

Il poeta e il pittore si fondono, sublimando le angosce esistenziali, aprono la porta alla speranza, una speranza che si realizza attraverso il colore, il segno, la parola.

(nota 1. Wladimir Majakowskij, Opere scelte (a cura di Mario De Micheli). Feltrinelli 1976)

 

Lettera a Franco Manescalchi per INTERNI CON FIGURE  da Anna Balsamo

Caro Franco, è un po’ che rigiro le pagine di questa tua opera (grazie del dono, grazie) che tu titoli “Interni con Figure” e che mi hai fatto recapitare da Giancarlo Bianchi.

Un titolo è come una “dritta” alla comprensione e valutazione dell’opera che l’autore dà, ma è un suggerimento che qui subisce e risubisce rapide metamorfosi. Per me personalmente (a prescindere dai sotto-titoli puntualizzatori nell’indice che sottolineano, quasi paragrafi, diverse fasi d’emozioni storiche), dopo alcune visioni, l’ho ribattezzato, per un tratto, “Alien”, titolo attribuitogli dalla mia sensibilità per tutto il tempo finché non ci si scontra con la verità reale e assoluta di quale sia il nucleo originario, primigenio del libro – romanzo – filmato, nel confluire tra immagine e poesia: si tratta della lirica “A pugno chiuso” che tra l’altro segna uno dei più intensi momenti del libro. Quel pugno che doveva essere portatore di lotta e vittoria dei propri ideali, non è sconfitto bensì serrato ermeticamente come valva di conchiglia a proteggere la tuttavia sussistente perla, figlia esistenziale di linfa scaturita da delusione e dolore, figlia d’estraneità e insieme di forzata compartecipazione al volgere serpentino degli indesiderati eventi della Storia, la poco amabile e indiscutibile padrona del corso delle nostre vite, se “vite” si possono chiamare e se “corso” gli hanno mai lasciato avere. Franco, il poeta artista, manifesta e dichiara nei suoi versi, splendidi incisivi endecasillabi: “amica mia, non sono un uomo mite / anche se all’ingiustizie sembro muto / perché l’impari lotta fu perduta – e non si dice ciò che non si fa”. Qualsiasi lettore, che abbia in sé dell’umano, non può non sentire la chiamata a riconoscere nel pathos di questi versi sé stesso e come l’uomo sia sempre una proposta, un progetto di vita vexato fino alla morte. E, a proposito del fare e non fare, quest’opera di Franco Manescalchi mi coglie ignorante e, all’epoca, non partecipe di tante passate sue iniziative, perché ho scritto fin da giovanissima ma, fino ai quarant’anni, ero del tutto al di fuori dell’ambiente letterario: modaiola e immersa nell’ansia di non conoscere me stessa. A parte il mio innato carattere da eremita ribelle contro cui mi tocca sempre di combattere o, quanto meno “conciliare”, come con una contravvenzione in atto. Torno quindi all’altra mia impressione, per cui titolavo, dentro me, quest’opera “Alien” riferendomi alla testimonianza dell’insistito marcato grafismo delle immagini: sì, è vero, come è stato dichiarato criticamente, di quanto Franco si riallacci a Grosz e Maccari (io vedo più Grosz che Maccari) ma è importante sottolineare e intendere che, a mio parere, Franco non satireggia le figure: esse non sono caricature, non c’è l’invito a riderne: tutte, di libertari o reazionari, stanno per rovinare, sono viste borderline nel baratro: esse sono constatazioni dello status vivendi che tutto drammaticamente macera e distrugge e vanifica; in questa distruzione, purtroppo amalgamando, compostando le idee libertarie a quelle repressive, e gli ideali vengono offesi, convocati al tribunale di Ecclesiaste, con l’ingiusta accusa di Vanità delle Vanità. Gli uomini, protagonisti delle loro azioni, appaiono travagliati, dispersi, transfughi disadattati come marziani in Terra o terrestri su Marte (sensazione che proviamo nel vivere), comunque estraniati dalla vita, ergastolani fino al ritorno ad indistinto disintegrato humus corrotto (vedi “Doppia maschera”) ed anche quando c’è chi fa mostra di boria burocratica (vedi gli altri) con in mano i dadi del Potere, son gonfi come salme al terzo giorno nel feretro.

E, la “dea della vita”, per antonomasia, la donna? E’ trattata con un affettuoso rispetto che implica nelle figure un assenso al reciproco diritto alla sessualità, vagheggiata come atavico patto d’alleanza: ma soprattutto al riguardo dell’amore, Franco si riscopre incantato adolescente, commosso trobador provenzale. I bei profili femminei, d’estetica classica, mai estetizzanti, sono tesi e concentrati in un pensiero progettuale di cambiamento. E allora, il titolo di copertina, “Interni con figure”, perché per introdurre? E’ giustissimo, a questo punto, con uno di questi profili pensierosi di donna che erompe da un caleidoscopio d’ornato patchwork musivo (altrove e anche Pop Art di collages fotografici) che ci riporta a molti di quegli ornati che, nella Secessione Viennese, Gustav Klimt accompagna alle sue proprie “divine”, magari anche nella rappresentazione persino del “Bacio”. E’giusto fare ancora citazione della Successione cui va riconosciuta tornante e continua attualità. Sì, dall’Interno, quindi dal regesto culturale di Franco – neuronale e memore psichico, qualsivoglia – erompono, ad esplorare l’epoca contingente, come se lacerassero un grande manifesto di fondo e scendessero su un palcoscenico per recitare la farsa, i personaggi: e poi s’intricano propositivi metaforici talvolta come in “Azzurra”, sotto i riflettori della Fashion, un po’ meno aggrondati, in  una hit-parade finale, testimone lo sguardo di perplessa innocenza d’un infante che in una gigantografia si sovrappone succhiandosi il pollice alla vista degli spalti in babelica preparazione di uno spettacolo: quale? La sua vita?