Gabriele Venuti, Oltre i miei occhi, Ibiskos 2014

volume di poesie

 

 

 

una lettura critica di Martina Lelli

“Oltre i miei occhi” è un flusso di versi metaforici, ossimorici e sinestetici che, migrando dalla penna essenziale del poeta, rinnovano il significato della ricerca di evasione dal reale verso la densità onirica dell’altrove.
Attraverso la divagazione dell’esistente, affidarsi alla poesia per scrutare molteplici percezioni del mondo è l’albore del viaggio del Venuti che, con un “addio al rigido caos/ al filtro oggettivo e razionale”, guida i nostri passi in un percorso significativamente meditativo, suggerendoci “la naturale scia da seguire” (“Percorso”).
L’elaborazione psicologica del sogno e l’indagine ontologica sugli enigmi della ragione sono la substantia del viaggio introspettivo dell’autore e, l’uomo, in ottica eraclitea ed emozionale, coraggiosamente ricerca il suo senso in “realtà, vissute o no,/ che inducono lo spirito/ nella strana atmosfera del dubbio” (“Grido”), pur essendo conscio della sua temporaneità e fragilità. Venuti, infatti, intimisticamente ricerca “un posto cieco/ in cui nascondere/ […] l’essere” (“Rifugio”), consapevole del suo rimanere “solo/ a disagio/ incredulo e diffidente/ all’architettura della vita” (“?(dedicata alla Bea)”), ma è la forza smisurata della poesia che rende l’umano vincitore.
La figura del poeta, infatti, intesa nel suo significato universale, è pronta “a vedere il punto/ dove i contrari coesistono” (“Saluto”) e ad accettare il destino, ma è anche capace, come evidente nella lirica “Errare”, di volare e di sentire ogni momento come una vita infinita.
La poesia del Venuti è evasione dalla realtà, una via di fuga, un ponte che vuole oltrepassare i muri dell’esistenza, proprio come l’intenzione montaliana nella lirica “La casa sul mare” da “Ossi di seppia”, in cui il mare è un varco che ci porta ad abbandonarci a ciò che c’è di più autentico: le nostre sensazioni.
I versi di Venuti riempiono gli spazi tra il tangibile e l’invisibile, lasciandoci intuire, con il finale aperto della silloge, tramite la lirica “Le porte”, la direzione fuggevole delle percezioni. Il significato della porta, infatti, assume un’accezione spirituale: diventa simbolo del passaggio tra il conosciuto e l’incognito, tra conscio ed inconscio, fino ad arrivare ai confini delle possibilità umane. È proprio qui che l’autore rende trasparenza le esperienze sensoriali e ci solleva verso l’emozione viva dell’infinito essere.