Franco Manescalchi, Solchi nel bianco, Balda Editore, Prato 2021

 

 

                                               

 

Una nuova bellissima raccolta di poesie di Franco Manescalchi.

LA CASA DEL PADRE

A Firenze

Sempre ho amato Firenze, dove ho appreso

Essere uomo per la prima volta

Di fronte ai suoi marmi colorati.

Restai sotto la cupola

Grande del Brunelleschi ed ascoltai

Un richiamo nel cuore

Una volta e per sempre “figlio, figlio…”

Voce buona, del padre quotidiano,

Ma era adesso di quello Celeste

Con la gioia e il dolore per l’Incontro.

 

Quando varcai la porta sentii in me

Una forza infinita, sulla piazza

Splendeva in cielo un grande cerchio d’oro

Che si dissolse in un manto d’azzurro

Sui marmi colorati ed istoriati

Nella magia del tempo fatto umano

E dell’umano che traversa il tempo.

Sempre ho amato Firenze,

Le pietre levigate come pagine

Sopra le quali incidere vorrei

Questi versi d’amore, per Firenze.

 

“Dice Franco Manescalchi della bellezza dei tulipani nella lirica a loro dedicata: questo può ben dirsi anche della poesia ‘in minore’ di questa raccolta. Il lato ‘domestico’, del quotidiano, è già presente in altre sue sillogi. Anzi è un fluire, ora sotto la superficie, ora sopra, senza interruzioni, che entra in contatto con il più profondo e con il più elevato. Un fluire costante che mette in relazione, con gli altri, anzitutto, ma anche con piante, esseri animali, luoghi, oggetti. Il tutto con sorprendente naturalezza, semplicità di visione e di espressione. Come i colori che si moltiplicano al passare attraverso l’acqua, partendo dal bianco, così avviene con il sentire poetico e con l’esprimere in poesia.”  (dalla prefazione)

“Caro Franco, ti ho letto dentro i tuoi solchi nel bianco della pagina scavata dai versi come la terra dalla vanga del contadino, dove la vanga è la tua penna, che attinge dal calamaio dell’anima la forza della tua poesia. Mi ha commosso e coinvolto visceralmente il miracolo di un candore che è quasi francescano, il candore di chi ha traversato tanta vita, tanto disagio, tanto dolore insieme a tante gioie, tanti successi, tante delusioni, tanta felicità, e, su tutto, una serenante capacità di amore: amore che è con-passione, comprensione, accettazione e accoglienza nell’intimità con la natura, uomini, animali, piante e tutto ciò che fa ed è mondo, questo nostro mondo ora così irrequieto, frastornato, agguerrito dove gli uomini non sono fratelli l’uno all’altro. Un “coeur simple”, il tuo, privilegio dei grandi che non ostentano la loro intima ‘statura’, ma la vivono modestamente così diventando esempi per coloro che hanno la buona sorte di conoscerli, apprezzarli e imparare da loro. Davvero, caro Franco, l’‘imprinting’ ti è stato offerto dai tuoi genitori, cui hai dedicato due commosse e commoventi poesie, ed a tutto quel microcosmo che hai condiviso nella mutevole realtà della vita. Perché davvero, “vivere è un sentiero futuro già trascorso dove niente ci dice addio, niente ci lascia” diceva Borges, se -concludendo con Zambrano – “vivere umanamente è andare nascendo” ogni giorno, con “passo lento”, sì, con “passo buono “ con i “perduti passi a camminarmi, accosto/ Come in un tempo ormai troppo lontano” tenendo -come tu scrivi- in “Alta la fiamma” accesa da “Un uomo solitario, fuori posto” che “tendeva, a quel fuoco la mano” “Nel tempo senza tempo di uno sguardo”: un uomo che “Ama giocare fra la terra e il cielo”/Proprio come il bambino” della tua “infanzia campestre” infestata “di papaveri di sole” (come quelli dei tuoi esemplari acquerelli), “di mezzine” e “pan di ramerino”, “fiori di balza”, “storni e rondinotti”, nella “felicità fatta di niente” “Che s’inazzurra nell’aria/ in chiarità visionaria”.
E la “chiarità visionaria” è quella della poesia, capacità di aderire perfettamente al mondo conoscendo e ri-conoscendosi in tutto ciò che è altro da sé senza enfatizzare sensazioni e emozioni, tutto ciò che Bonnefoy chiama la “poesia fondamentale” di chi vive e pratica atteggiamenti poetici, alieni dunque da qualsiasi intenzione di sorprendere e stupire con la ricerca di invenzioni iperboliche, retoriche e stilistiche. Il poeta -potrei affermare- è dunque colui che come te, dipana nei suoi versi il “noyeau lirique” di Ey che lega tutte le cose mondo, cioè ‘omnia et naturalia’ con il privilegio misterico del “supplement d’ âme” bergsoniano.
E mi piace concludere questa lettera azzardando che questi “solchi” siano stati indelebilmente da te tracciati con l’‘aratro improprio’ della poesia (che af-fonda non sul bianco, ma dentro , “nel bianco” appunto della pagina) dall’intensa fertilità del tuo lungo, esperienziale vissuto in fraterna intimità con tutta la complessa fenomenologia del mondo in coerente fedeltà e fede nel bene: il bene che ascolta, accoglie e accetta ogni altruità diversa e divergente oltre e prima della tolleranza , il bene che sa comprendere e sospendere il vezzo/vizio del pregiudizio e del giudizio, il bene che elige e privilegia sempre la con-passione nell’andare incontro cor-rispondendo a mente sgombra e sensi pronti senza condizioni, intenzioni e presunzioni con quella variabile, variegata altruità in attesa: il bene dell’amore fundus animae che inventa e diventa la tua “fondamentale” poesia.
Grazie caro Franco, di questa ‘lectio magistralis’ nuda di cattedra, orpelli, ornamenti, addobbata sol-tanto dalla ricca povertà della tua magistrale poesia.”
(lettera di Anna Maria Guidi)

 

PER I TUOI BIANCHI SOLCHI
a Franco Manescalchi

Sono entrata in famiglia, nei tuoi versi
tra i vivi e i non più vivi ancor vitali
nelle case trascorse profumate
di terra e caldarroste al focolare.

Ho passeggiato nei tuoi campi aviti
e in quelli d’oggi, dove erbe e fiori
ti donano colori di pennelli
e cantici leggeri come steli.

Poi, nel guardare in alto, nel tuo cielo
mi son perduta nello sguardo chiaro
estasiato dai disegni degli storni
dal tubare innamorato dei colombi

che scopre in quei voli creaturali
il più bello- una grazia ricevuta-
che per amore diventa parola
e nuovantiche ali mette al poeta.

Alla fine mi sono posta accanto
a te che porti la canotta blu
di un tempo buono come vino antico
anche sfidando la migliore gioventù.

I tuoi anni profumano parole
che racchiudono il sapore denso e lieve
di ciò che conta davvero nella vita
e a cantarlo s’effonde un’emozione.

Nei solchi tracciati dentro il bianco
hai fatto fiorire tutto l’incanto
che resta sospeso in commozione
e lascia appena dire in un sussurro:

Grazie del caro dono, amico Franco!

(Mariagrazia Carraroli)