Martedi 2 maggio ore 17 al Circolo degli Artisti presso la Casa di Dante a Firenze è stato presentato il volume di poesie postumo di Innocenza Scerrotta Samà:
La verità del ritorno, Polistampa 2016.
Coordinatore Giuseppe Baldassarre. Interventi critici di Annalisa Macchia e di Sandro Angelucci.

Gli amici di Innocenza e i soci di Pianeta Poesia hanno partecipato leggendo un testo,  portando testimonianza di vita e commenti di lettura.

Ha introdotto l’evento Giuseppe Baldassarre, che ha ripercorso l’attività poetica di Innocenza Scerrotta Samà ed ha concluso con un giudizio sintetico: ‘Un percorso coerente di amore per l’essere umano e per la poesia, come alta espressione della tensione spirituale.’ Ricorda che un’ampia scheda biobliografica è presente nella sezione AUTORI di questo sito.

E’ seguita la relazione di Sandro Angelucci.

“Buonasera a tutti. Ringrazio la Presidente del Circolo degli Artisti (che ci ospita), unitamente a Franco Manescalchi e Giuseppe Baldassarre per avermi voluto qui, nella Casa del Poeta.

È per me un onore – ve lo assicuro – , e non sono le solite frasi di circostanza. Un onore autentico, perché il privilegio mi è stato concesso precedentemente: quando Innocenza lasciò detto che avrebbe desiderato fossi io ad occuparmi della prefazione a La verità del ritorno (l’ultima sua raccolta, uscita postuma nel maggio dello scorso anno).

Ebbi a scrivere in quell’occasione: “Ora – e da sempre – c’è chi si rifiuta di approfondire; chi ha paura di farlo e preferisce seguire il percorso più comodo (che, in genere, coincide con la direzione presa dalla massa) e chi – staccandosi – si affida totalmente ai consigli ed alle convinzioni dell’io interiore, sconosciuto ma autentico perché non separato ancora dall’istinto.”.

Ho inteso riferire questo pensiero nella ferma persuasione che lo stesso possa utilmente contribuire ad aprire la porta di un universo poetico difficilmente accessibile se non ci si mette nella predisposizione di scavare in un terreno per sua natura impervio e niente affatto duttile quale quello dell’inconscio.

Già: l’inesplorabile, l’insondabile, l’inesperibile inconscio. Ma è da lì che il lògos inizia il suo cammino: un principio dinamico dal quale si sviluppa la vera capacità espressiva e comunicativa.

E’ da lì che sgorga la sorgente della parola di Innocenza, da quegli abissi o da quelle altitudini incommensurabili e inarrivabili dalla cognizione umana; dall’indefinibile luogo dove il passato svanisce nel presente e viceversa, e il tempo diviene eterno.

“Quale / la / nostra / possibile / eternità / per / carpirne / il segreto?” – si chiede ad un certo punto della raccolta che presentiamo – attenzione, però, non per darsi una risposta; l’eternità è certa, indefinibile ma certa.

Ella sa che il segreto che vorrebbe carpire resterà un mistero. Perché, allora, volerlo catturare? – si obietterà –; proprio questo l’errore: pensare che alla poetessa interessi svelare.

Non è così; semmai è l’esatto contrario: è l’altra se stessa (che poi è sempre lei) che le si rivela attraverso una voce ignota ma pura, vergine, non ancora corrotta in quanto appena partorita, appena uscita dal grembo dell’anima.

Nella succitata introduzione, mi piacque riferirmi a Jung, sostenendo che questa poesia s’inabissa, scende in profondità ma non resta impantanata nel buio; lo fa senza paura e, dunque, non “si ammala”.

Anzi, riemerge come magma, come impasto fertile di spirito e materia che produce un vortice, “il turbine del caos” (per usare una terminologia cara alla Nostra): un gorgo che mulinella, sia all’interno che all’esterno, con la stessa velocità, con un’energia che deriva direttamente dall’inalienabile certezza che solo allo stato sorgivo pensiero, parola e verità coincidono. La verità di Innocenza, naturalmente, ma anche – a quel livello – quella di ogni essere vivente che avverte dentro di sé la presenza del mistero.

Il ritorno – la riacquisizione, verrebbe da dire – è, quindi, autentico perché “muta” (come si legge nel testo eponimo e conclusivo della raccolta) è la verità che lo distingue.

Ecco, allora, che il desiderio della poetessa era, e resta, quello di trovare una linea di confine ma non di oltrepassarla: tutt’altro che crogiolarsi nella meraviglia della sua stessa scoperta e perdere contatto con la materia, ella desidera immergersi totalmente nella vita, fino a quel punto, che sembra di rottura e sta, invece, a dimostrare l’inseparabilità di un’unione.

Nell’opera – solo di un anno precedente quella postuma, edita anch’essa per i tipi di Polistampa – la Samà decise di aprire con questi versi: “Estasi / il confine / con / la / morte.”, ricorrendo ad un’illuminazione che migliore non poteva essere. Il limite c’è ma è come se non ci fosse: il rapimento è tanto nel ciocco che diventa incandescente quanto in quello che incenerisce.

Mantenersi in bilico, quindi, nel precario equilibrio dell’ossimorica realtà significa coglierne l’attimo irripetibile di affermazione della sua vera essenza: “Spighe dorate / da / ceneri sparse / al vento / della gioia, / impenetrabili / foglie / di / foresta” – scrive – lasciandoci chiaramente intendere che la conoscenza, questo tipo di conoscenza, “è impraticabile alla ragione ma può essere raggiunta (come testimonia Giuseppe Panella nel suo testo introduttivo) soltanto mediante forme superiori di sapere. . .”.

Il suo potere creativo si attua attraverso una felice e piena acquisizione del mito; una rielaborazione che, lungi dal cadere nella sempre tesa trappola del mitologismo favolistico e leggendario, si concentra sull’intramontabilità degli esempi che continuamente si ritrovano alle origini di ogni esteriorizzazione dello Spirito.

Mithos, quindi, mai come in questo caso, legato all’etimo suo più arcaico ed originario di parola.

“Chi ragiona secondo archetipi mitici, è soprattutto fascinato dalla distanza incolmabile che separa l’umano dal divino. Ma la distanza è desiderio, diversamente da chi accetta i dogmi che assicurano il passo della verità la quale, così posseduta, non può essere desiderata.” – sostenne Rossano Onano intervenendo su La mano e la prua: edita, nel 2010, sempre e fedelmente con Polistampa.

Se “siamo veri” – come recitano alcuni versi tratti dal libro testé citato – se “siamo veri / nei sogni della notte” e “fantasmi il giorno / con la mano al volante” e se “Nell’arsenale / giace la nave / squassata dal tempo / e / dalla lotta.”, è perché abbiamo avuto il coraggio di ambire l’eterno prendendo tutti i rischi che derivano dalla nostra fragilità e dall’insidia del possibile naufragio.

Il mito – così presente e vivo in questa poetica – rientra di diritto, si cala nel solco poematico tracciato dalla poetessa in quanto simbolo, perennemente rinnovato, di piacere e di dolore, di bene e male, della diacronicità di Eros e Thanatos: principio e fine che, nonostante tutto, si cercano per sincronizzarsi su ritmi scanditi da un tempo altro, interiore ma anche esternato.

È come se Innocenza, sdoppiandosi, osservi dal di fuori l’anima sua e la veda “smarrita nel groviglio / del mistero, / l’immensità / dell’essere / . . . . / d’ermetica / bellezza / crocifissa.”.

La croce: emblema di pena e sofferenza, viene riscattata dall’inaccettabilità del pensiero sacrificale, vòlto ad una salvezza di facciata, per lasciare spazio alla “imprendibilità dell’attimo”, agli abissi del “ ‘non ancora’ temuto e cercato allo stesso tempo”, al seme che “deve marcire per poi germogliare”.

È – quest’ultima, illuminante affermazione – ripresa dallo scritto postfativo  a In luce d’estasi di Anna Vincitorio, con la quale mi sento in piena sintonia anche quando, a seguire, suggerisce che, in Innocenza, la sacralità “emerge dalla lotta tra angeli e demoni”; convinto – come sono – che la simbologia della croce, nel nostro ambito storico-culturale, consista, più correttamente, nella serena accettazione di affrontare la contesa che non nella sconfitta (seppure momentanea e terrena) del bene ad opera del male, che si risolve – quasi sempre – nel procrastinare o (peggio) nel demandare ad altri quelle che sono le esperienze unicamente competenti allo spirito individuale.

Questa forza, questo coraggio, Franco Manescalchi vuole – a mio parere – porre in evidenza quando su La mano e la prua (in quarta di copertina) parla di un “perdersi senza perdersi”, di un “trovarsi senza trovarsi” o, ancora, (sempre in quarta) su Il colore del gelso, Giuseppe Baldassarre, pur notando talvolta un’accesa nostalgia, non manca di sottolineare che “per lo più” è “una dichiarazione di amore per la vita” quella di Innocenza.

Voglio dire: se la poesia ha un destino, punto di arrivo e punto di partenza collimano; che – come accade per i versi de La verità del ritorno – gli stessi si trovano nella terra di nessuno, dove il sonno sta per trasformarsi in veglia, dove laconicità e loquacità s’incontrano dando vita a versi monosillabici (spesso costituiti da una semplice congiunzione o preposizione) che obbediscono soltanto alla forza propulsiva del fuoco, delle fiamme che, come lance, s’innalzano al cielo; non per sfidarlo ma per congiungervisi, per unirsi alla sua ribellione.

Siamo al punto: l’irriducibilità, la caparbietà, la forza d’animo di una donna speciale non potranno sfuggire al lettore attento; a coloro che ambiranno ad immergersi totalmente in questo dettato, dove ogni segno di scrittura va introiettato e sviscerato per carpirne la più intima (e spesso celata) significatività.

Il costante anelito all’essenzialità come ritorno al vero (si confronti l’intestazione dell’opera postuma); come tuffo nel caos originario e originante: “Dal caos / il riso argentino / di ruscello . . .” – si legge nell’incipit di p. 26 – come primo, indispensabile passo verso l’indipendenza e la libertà.

E’ questa la cifra che contraddistingue una versificazione originalissima e scarnificata fino all’osso, della quale – lasciatemelo dire – c’è assoluto bisogno, nel proliferare di una letteratura ormai svuotata di senso: sia negli esiti sperimentalistici che in quelli meno svincolati dalla tradizione.

Non si tratta di scegliere ma di farsi scegliere; non si tratta di trovare ma di farsi trovare; non d’apprendere, semmai di disimparare.

In uno dei libri di cui volle farmi dono, nel corso della nostra – purtroppo breve ma intensa – conoscenza, Innocenza appose questa dedica: “A Sandro, con affetto e stima, il mio universo umano e poetico”: è la testimonianza della profonda e carissima amicizia che ci legava ma – soprattutto – la certezza, per me, di saperla viva: proprio lì, nell’universo che accoglie tutti, chi sembra restare e chi sembra sparire.”

 

Poi è intervenuta Annalisa Macchia.

“Un po’ mi emoziona stasera ricordare Innocenza e la sua poesia. Quasi mi stupisco di non poterla vedere accanto a noi, perché il ricordo della sua persona, della sua voce al telefono, della sua risata sono ancora vivi (e tali, per fortuna, rimarranno almeno nella memoria e nel mio affetto), tuttavia il titolo di quest’ultimo suo libro, uscito postumo, La verità del ritorno, sembra affidarci un messaggio consolatorio. “La vita e la morte costituiscono un nucleo”, affermava Innocenza, come ci ricorda anche Franco Manescalchi nella sua presentazione al libro. Il titolo potrebbe sembrare sibillino, ma, nell’ultima poesia della raccolta, meglio sarebbe dire epigramma, le poche rotte sillabe che lo compongono (complessivamente meno di un endecasillabo…), aprono e chiudono contemporaneamente l’immenso e misterioso cerchio della vita, identificando in questa ricongiunzione la verità, quella verità che Innocenza mai si è stancata di indagare, di voler raggiungere. Ora, dopo il vorticoso girotondo terreno, accettato nel dolore, nella gioia e in ogni sua incomprensibile via, concludendo il percorso, lei è ritornata alla verità. Una considerazione che consola, anche se non cancella completamente l’alone di mistero che queste parole suscitano, insinuano. Mistero, del resto, ineludibile, di cui tutta la poesia di Innocenza si sostanzia, anzi di cui la Poesia tout court si sostanzia.

Leggendo la prefazione di Sandro Angelucci, mi sono sentita particolarmente in sintonia con lui. Da sempre ho seguito la poetica di questa cara amica, ma ho avuto modo di approfondire con recensioni solo alcuni suoi testi, tra cui proprio, come lui, La mano e la prua e il recente In luce d’estasi, e come Angelucci ho provato sensazioni simili alle sue davanti a questa scrittura così particolare, scarna fino all’osso della parola, ma incredibilmente ricca e profonda per quanto riesce a suggerire.

Da dove arrivava la sua poesia?

“Il primo verso mi arriva cantando”, mi confidò una volta Innocenza ridendo, ma esprimendo una grandissima verità. Non poteva essere differentemente, perché la fonte della sua poesia era l’intero universo con la musica di ogni suo suono e l’armonia di ogni colore, con il ritmico alternarsi di luci e ombre (senza l’ombra non si può apprezzare la luce) e la meravigliosa varietà delle sue forme. Una continua, inesauribile ispirazione.

Partendo da questa ispirazione, accompagnata da una segreta e interiore certezza, Innocenza ha sempre portato avanti la sua ricerca anelando alla Verità.

Il racconto di questo viaggio ci viene offerto in un linguaggio scarnificato fin dagli esordi, ma che, nel corso degli anni, percorso da ritmi ben scanditi e serrati, si è fatto sempre più asciutto ed essenziale, raggiungendo un’intensità tale da rendere dirompente la voce poetica dell’autrice.

In un’atmosfera rarefatta, un po’ onirica, emergono o traspaiono con limpidezza le sue tematiche più ricorrenti: il mito, tutte le leggende e gli eventi magico-religiosi ad esso collegati, ogni elemento della natura, sacralizzato dall’abbraccio coinvolgente dell’occhio umano. Spesso la parola entra in una dimensione che, senza rinunciare a quella umana, si spinge al di là di ogni grido e arriva a contemplare la Bellezza che risiede nel Sacro.

L’ultima creatura di carta che Innocenza ha potuto vedere stampata è In luce d’estasi. Come La verità del ritorno (la dodicesima) e le precedenti, tutte quante appartengono alla stessa, amata casa editrice, la Polistampa. Ripercorrendo queste storie poetiche, già collegate dallo stesso unico editore, appare chiaro anche il carattere unitario della poesia dell’autrice. Ciascun libro rappresenta una tappa della sua ricerca, ogni volta spinta sempre più avanti, oltre l’umano, ai confini con il divino. In luce d’estasi, quasi profeticamente, ormai s’intravede un traguardo finale, “Estasi/ il confine/ con/ la/ morte”, quell’anello mancante tra corpo e mente, tra vita e morte, che in questo ultimo libro postumo è più chiaramente definito.

Stupisce come l’estrema asciuttezza delle liriche, ormai frammenti di lingua rotti dall’emozione, sia inversamente proporzionale all’enorme quantità di riferimenti letterari, mitologici e riflessioni che emergono in e da esse. Questa essenzialità non nuoce tuttavia all’ armonia del suo versificare che, seppure svincolato da ogni forma codificata di regolamentazione, mantiene una sua classicità. Mi sono divertita e stupita nel rintracciare in questi ultimi epigrammi, dopo avere accostato alcune poche sillabe, che spesso da sole formano un verso, i numerosi settenari e ottonari e versi dal metro classico che vi si nascondono. Un gioco di frammentazione necessario affinché la singola parola, mai disgiunta dal canto, con il suo uso così parco, assuma un maggiore rilievo, amplifichi ogni moto dell’anima, ogni aggrovigliata sensazione di dolore e gioia.

Da questa essenzialità sgorga con potenza un sentimento di amore diffuso per la vita e un profondo senso del sacro che permea i testi, tuttavia estranei a correnti interpretazioni religiose, fedeli solamente all’autenticità dell’autrice.

Non vorrei aggiungere altro, per lasciare il massimo spazio alla voce di Innocenza, ai suoi critici e a chi ha avuto il piacere di conoscerla bene, oggi qui presente e desideroso di ricordarla con una frase, con la lettura di una sua poesia, scelta tra i molti suoi libri.

Solo un grazie a questa cara amica, per la poesia che ci ha lasciato, nel ricordo della sua calda, autentica, solare amicizia.”

 

Alle relazioni critiche ufficiali aggiungiamo questa nota di lettura di Maria Grazia Carraroli che risale a ottobre 2016, espressa più ampiamente durante l’incontro.

“Quando la cara Giovanna Fozzer mi ha consegnato  La verità del ritorno, opera postuma dell’indimenticabile Innocenza Scerrotta Samà, sono stata pervasa da una scossa emotiva a stento trattenuta. E’ stato come sentire la mano, non il libro di lei tra le mie mani …

La sua energia, il mare della sua anima, graficamente tradotto in copertina dalla tempera di Franco Manescalchi, curatore della silloge, quel mare chiuso nella conchiglia del verso di Innocenza, ha subito lambito lo spirito e la mia emozione accesa pagina dopo pagina a scoprire le scoperte dell’amica, il suo viaggiare nel non finito, tra cadute/ sussulti/ aneliti/ gemiti.  La vita, inferno e paradiso, tenebre/ e/ luce  va vissuta istante per istante sembra dirmi Innocenza con la sua parola, limpido riflesso di tutta la sua vita. E mi consegna, ci consegna il suo ultimo profetico percorso, in cui tenta di capire e accettare il turbine /del caos nel quale scoprire il segreto d’una nostra/ possibile/ eternità.

I suoi versi lapidari, in cui la parola incendia, mi fanno ricordare alcune illuminanti definizioni di Pavel Florenskij, il grande teologo e scienziato del secolo scorso, lette ne Il valore magico della parola ( Edizioni Medusa 2003 )

Scrive il pensatore russo : La parola è la massima manifestazione dell’atto vitale di ogni persona, la sintesi di tutte le sue azioni e reazioni, la scarica del livello di vita interiore che si è accumulata, l’affetto che è divenuto manifesto … Infatti … La parola è energia umana.

Di tale energia freme il libro di Innocenza, libro dove il verso condensa la ricerca, il sogno, l’intelligenza, la cultura e la passione di una donna che giunge a noi con l’eloquente laconico messaggio della  muta… verità/ del/ ritorno : il suo approdo, il nostro vuoto di lei , ma anche il nostro commosso ultimo, non definitivo incontro.

Leggo ancora il titolo della raccolta poetica : LA VERITA’ DEL RITORNO che sembra esprimere una certezza e, dopo la lettura meditata dei testi in essa contenuti,  mi soffermo sull’ultima poesia della silloge che recita :  MUTA/ LA / VERITA’/ DEL RITORNO , dove l’articolo posto tra MUTA e VERITA, e insieme a loro, crea un doppio significato :

1 ) … è MUTA ( aggettivo) la verità e quindi è ancora più convincente …..  Infatti si usa dire  chi tace  acconsente

2) oppure MUTA ( verbo ) la verità e quindi cangia,  diventa altra, muta a seconda di come osserviamo le molteplici facce del suo prisma ?

Questo, secondo me, è l’interrogativo che si cela dentro gli ultimi versi di Innocenza che ritorna a noi quale moderna Sibilla a riproporci il mistero della vita, a dirci che l’unica certezza  è proprio la presenza del MISTERO che sempre s’affaccia e  riemerge nei fatti della nostra storia e nei sentieri della nostra interiorità.”

Sono intervenuti con una testimonianza personale.

Gloria, la figlia di Innocenza, che ha ricordato l’importanza che aveva per la madre l’ambiente culturale di Firenze e in particolare il rapporto poetico con Franco Manescalchi, e ha ringraziato Pianeta Poesia per questa occasione di presentazione del libro e di omaggio alla poetessa.

Poi Alberta Bigagli, Simonetta Lazzerini Di Florio, che ha letto tre testi e li ha commentati, Evaristo Seghetta Andreoli , Giovanna Fozzer, che ha poetato i saluti anche di Francesco Giuntini e Margherita Pieracci Harwell, Giancarlo Bianchi, Anna Vincitorio, Mary Feroci Manescalchi, Leonora Leonori Cecina, Liliana Ugolini, Roberta Degl’Innocenti, Giuseppe Ippolito. Infine Franco Manescalchi ha ricordato la lunga amicizia e collaborazione con Innocenza nel curare i libri di poesia pubblicati con Polistampa.

Il suo saluto ha portato la Presidente del Circolo degli Artisti Casa di Dante, Graziella Marchini, che ha ospitato l’evento.