Venerdì 9 ottobre, presso il Centro Sociale il Giardino di Figline Valdarno (FI), si è tenuta la penultima delle otto conferenze del progetto di invito alla lettura “La casa degli Strani”, ideato dalle associazioni Il Giardino e Circolo Letterario Semmelweis, e realizzato grazie al contributo del Comune di Figline e Incisa Valdarno. In questo penultimo incontro io e Laura Del Lama abbiamo parlato del romanzo LA RAGAZZA DI NOME GIULIO di Milena Milani. Non credo di aver bisogno di presentazioni, visto che spesso collaboro con Poliscritture, ma permettetemi due parole sull’altra relatrice.

Laura Del Lama è nata a Firenze nel 1975, è operatore tecnico del LIS (Lingua dei Segni Italiana). Oltre a racconti su riviste e antologie tra cui Drgus (Guanda, 2011) ed È tutta una follia (Guanda, 2012), ha pubblicato il romanzo Non so dove ho sbagliato (Cult/Barbes, 2009), e la raccolta di racconti A cosa servono gli occhi (Noripios 2017).

Buona lettura ….

ANGELO AUSTRALI

Oggi nella casa degli “Strani” ospitiamo Milena Milani, un personaggio che, con la sua molteplicità d’interessi, credo si sia conquistato un suo originale spazio nel panorama culturale italiano della seconda metà del Novecento. È stata scrittrice, pittrice, giornalista, operatrice culturale con forti interessi per la politica, anticipatrice, con i suoi libri, di tutte le tematiche care al femminismo dagli anni Settanta in poi, soprattutto per la consapevolezza che la libertà della donna nell’Italia che usciva dalla seconda guerra mondiale, non poteva che passare da un affrancamento dagli stereotipi femminili e rivendicare una verità che s’incontrava con il bisogno di una reale conoscenza del proprio corpo. Una conoscenza fisica che anche sui desideri procurati dai piaceri del sesso, dalle sue implicazioni psicologiche, era da vivere non più solo nella condizione di subalternità all’uomo.

Milena Milani debutta in letteratura nel 1941, vincendo un concorso di poesia ai Littorali di Sanremo, ma in seguito da Savona, dove nasce nel 1917 (lei dirà per molto tempo di essere nata nel 1922), per ragioni di studio si trasferisce a Roma. Nella capitale si iscrive ai GUF, conosce Malaparte, Marinetti la nomina addirittura responsabile nazionale delle donne futuriste, ma quando inizia a frequentare il Caffè Aragno e fa amicizia con Ungaretti, Cardarelli, Corrado Alvaro e con il gruppo dei pittori della scuola romana, la sua vicinanza al fascismo finisce. Gli habitué del Caffè Aragno, se proprio non sono già tutti antifascisti, almeno non si sentono conformati al regime, sono critici. Nel 1943, dopo aver partecipato all’occupazione di un quotidiano fascista, costretta quasi all’esilio, con il pretesto di continuare gli studi si trasferisce a Venezia.

A Venezia incontra il collezionista e mercante d’arte Carlo Cardazzo, con lui si legherà anche sentimentalmente fino alla sua morte, avvenuta nel 1963. Cardazzo nel 1942 aveva aperto a Venezia La galleria del Cavallino, sulla scia dell’interesse suscitato dalle Edizioni del Cavallino, una casa editrice da lui stesso fondata nel 1935, nota per aver pubblicato una delle prime edizioni delle poesie di Leonardo Sinisgalli (1938), e le prime edizioni italiane delle poesie di Guillaume ApollinairePaul ÉluardAlfred JarryPaul Valéry. Insieme a lui Milena Milani diventa una delle figure più attive nel panorama delle arti visive che attraversano il dopoguerra. Per lei Cardazzo ha lasciato moglie e due figli, convivranno insieme per vent’anni, fuori dal matrimonio. Lo sappiamo, la legge sul divorzio in Italia sarà introdotta solo a dicembre del 1970.

Nel 1946 si trasferiscono a Milano, in Via Manzoni, dove Carlo Cardazzo aprirà la Galleria del Naviglio, diventata famosa per aver allestito la prima mostra dello Spazialismo di Lucio Fontana. È importante ricordare che anche Milena Milani fa parte di quel gruppo di artisti, anzi, è l’unica donna che aderisce al movimento spazialista. Questo ci dice qualcosa su quale sia la sua sensibilità creativa.

Come scrittrice si fa conoscere nel 1947 con il romanzo Storia di Anna Drei e, nel 1954, con i racconti della raccolta Emilia sulla diga (entrambi con l’editore Mondadori, editi nella storica collana della Medusa dedicata agli scrittori italiani, che si contraddistingueva – rispetto al verde dedicato agli scrittori stranieri – con un colore arancione della copertina). Giocando sull’autobiografia dei personaggi, in entrambi questi libri la Milani cercava di affrontare la condizione femminile di un’epoca nel rapporto con l’altro sesso. La sua scrittura è tutta tesa a decodificare le contraddittorietà dell’Io tra l’ingenuo lirismo descrittivo dell’azione e l’analisi introspettiva dei sentimenti, fatta con scrupolosità metodica ma libera, sinteticamente fluida, e tutt’altro che consolatoria. Non so se sia avvicinabile all’esistenzialismo francese, come molti indicavano in quegli anni, in realtà il suo stile, il tono della sua scrittura mi fa piuttosto pensare al realismo del cinema di Ingmar Bergman e forse, a mio giudizio, al nostro Michelangelo Antonioni. Ci troviamo insomma di fronte alla figura di una scrittrice che, sia per tematiche, sia per un’idea di letteratura, riesce a trasmetterci un forte respiro internazionale.

Quindi, nel 1964, quando Longanesi pubblica La ragazza di nome Giulio, Milena Milani ha quarantasette anni e già una certa notorietà non solo come scrittrice, ma anche come pittrice e promotrice di eventi nel campo dell’arte.

Come ambientazione La ragazza di nome Giulio attraversa tutti gli anni che precedono la seconda guerra mondiale per poi fermarsi alla soglia degli anni cinquanta del Novecento, è in questo periodo che si articola la storia di una ragazza che vive l’infanzia, l’adolescenza ed il suo passaggio esistenziale verso la maturità,  quando è costretta a scoprire il significato del diventare donna in un mondo dove le perversioni degli adulti che danno sfogo ai loro istinti sulle persone innocenti, emergono con violenza dall’ipocrisia perbenista che regge quel sistema sociale. Jules in francese indica il nome maschile di Giulio, così per tutta la sua esistenza il personaggio sarà accompagnato dalla domanda del perché una ragazza porti quel nome maschile. Nel descrivere l’evento delle sue prime mestruazioni o nella scoperta del piacere sessuale con la cameriera di famiglia, o quello dei baci rubati ad Amerigo, fidanzato con Serafina, non c’è solo il bisogno di conoscere il proprio corpo, ma c’è la necessità di seguire un richiamo istintivo verso altre domande che nascono dalla solitudine della sua insoddisfazione adolescenziale. Ecco perché si può parlare a tutti gli effetti di un romanzo di formazione.

Il libro, uscito nell’aprile del 1964, fu presentato allo Strega e tradotto all’estero in più lingue, e accettato come un romanzo in grado di esprimere la presenza di una frattura esistenziale nella realtà di una giovane, capace di farsi modello per tutte le donne del mondo, ma se diventa un caso editoriale e se ne fa un gran parlare è soprattutto grazie a una certa stampa benpensante che resta scandalizzata e le affibbia l’etichetta di “pornografa”. Nonostante i molti giudizi critici positivi sul libro (oltre Ungaretti troviamo schierati in suo favore Salvatore Quasimodo, Paolo Volponi, Giancarlo Vigorelli), con l’accusa di questa presunta oscenità in autunno furono bloccate le vendite,  procurando alla scrittrice e all’editore una pesante imputazione perché “scriveva e metteva in commercio il romanzo La ragazza di nome Giulio, gravemente offensivo del sentimento del pudore – inteso come quel senso di riservatezza che deve circondare tutto ciò che attiene alle manifestazioni della vita sessuale – e quindi osceno per la descrizione dei rapporti sessuali ed anche omosessuali vissuti da una ragazza ossessionata dalla continua ricerca della vibrazione dell’amore”.

Scrive Giuseppe Ungaretti, a proposito de La ragazza di nome Giulio: “È un libro avvincente, per la grazia e la profondità con la quale Milena Milani sa affrontare le più scabrose situazioni umane e sollevarle all’altezza dell’arte e della poesia. È un dovere per un vero artista affrontare qualsiasi argomento da cui possa trarre lezioni di verità e di pura e sincera espressione. Credo che i nostri tempi abbiano tutto da guadagnare a non essere ipocriti, e ormai tutta l’arte maggiore del mondo sa che nulla deve essere nascosto, colpevolmente nascosto”. Lo stesso Ungaretti che testimonierà in suo favore durante le udienze, e si metterà alla testa di un gruppo di intellettuali che si schiereranno in sua difesa prima, durante e dopo il processo, fino alla sentenza di appello.

Di tutti i passi accusati di oscenità (nelle 297 pagine di cui è composta la prima edizione ce ne sono oltre un centinaio), più ancora delle pagine conclusive dove si descrive un’evirazione, quello che sembra offendere maggiormente la corte è quando si descrivono le prime mestruazioni di Giulio. Ma quella scena del menarca, descritta a mio giudizio senza compiacimento o morbosità, riesce a raccontarci il momento di un passaggio fondamentale nella vita di una ragazza. E questo è importante: trattandosi di un romanzo di formazione il passaggio doveva esserci, non restare fuori campo, racchiudere l’evento in appena un accenno allusivo.

Dopo due anni dalla sua uscita, il 23 marzo del 1966, la scrittrice viene condannata alla pena della reclusione per sei mesi e a dover pagare una multa di centomila lire. La vicenda giudiziaria si concluderà solo a novembre del 1967, con la sentenza d’appello che l’assolverà con formula piena, stabilendo che “gli spunti erotici si inseriscono armoniosamente nel tessuto narrativo e rispondono ad esigenze descrittive che il tema della donna condannata alla solitudine suggeriva e che sono state felicemente realizzate nell’unità poetica dell’opera”.

Consiglierei di leggere il bel saggio di Antonio Armano, “Maledizioni”, pubblicato da Rizzoli nel maggio 2014. Nella lista degli scrittori italiani e stranieri processati in Italia dal dopoguerra in poi per pubblicazioni oscene, un capitolo è proprio dedicato alla nostra Milena Milani. È un saggio davvero interessante, non solo capace di ricostruire lo stretto legame che esiste tra la vita degli scrittori e le loro opere, ma anche puntuale nell’esaminare i cambiamenti sociali e culturali che hanno interessato il nostro paese per tutta la seconda metà del Novecento, visti attraverso le aule dei tribunali.

La ragazza di nome Giulio uscirà nuovamente in libreria nel 1968, a distanza di quattro anni dalla sua prima edizione ormai andata al macero, e questa volta per restarci con un merito conquistato sul campo, in barba a tutti quei tabù di un’Italia ancora incapace di esaminare fino in fondo, con lucidità, le proprie contraddizioni, perché inadeguata a comprendere le nuove tensioni emotive che nascevano nella società in quel periodo, soprattutto se a raccontarle, per la prima volta, è il punto di vista di una ragazza sola e insoddisfatta della vita che tenta, cerca, si sforza di trovare in se stessa una certa spiritualità capace di dialogare con la realtà naturale, a cominciare dal bisogno istintivo di costruire con il proprio corpo un suo personale argine sensoriale alla solitudine umana.

La storia del romanzo è stata lunga e travagliata, prima di essere accettato da Longanesi su suggerimento di Goffredo Parise, era stato rifiutato da Vittorio Sereni che lavorava per Mondadori, Domenico Porzio, Giorgio Bassani, Geno Pampaloni. La Longanesi allora era diretta da Mario Monti, e anche lui viene portato a processo con l’autrice. Lei stessa ne è consapevole, di aver scritto qualcosa che sta fuori da ogni schema, come scrive nell’introduzione all’edizione Rusconi del 1978: “Quel personaggio incandescente che era la ragazza Giulio mi faceva paura, perché mi ero accorta che stavo precorrendo i tempi, e inoltre sentivo che per molta gente sarebbe stato motivo di scandalo, e di vergogna. Mi chiedevo sempre più spesso che cosa avrebbe pensato mio padre, mentre di mia madre non avevo timore, perché con lei avevo più confidenza”.

In realtà la storia di Jules e della sua formazione alla vita, la sessualità libera di un personaggio fuori dagli schemi, precorre quelle rivendicazioni del femminismo che Milena Milani anticipò e condivise quando, dalla fine degli anni Sessanta in poi, iniziarono tutte le battaglie sull’emancipazione della donna.

Morirà nella sua Savona, nel 2013, all’età di 96 anni, dove era nata il 24 dicembre 1917, e dove oggi trova sede la Fondazione Museo di Arte Contemporanea, realizzato da Milena Milani in memoria del suo compagno, Carlo Cardazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LAURA DEL LAMA

È sbagliato pensare che “La ragazza di nome Giulio” sia un romanzo prettamente erotico. Ancor prima che la formazione sessuale di una giovane adolescente, questa storia narra di una profonda crisi spirituale. Giulio vaga negli anni della sua giovinezza alla ricerca di risposte che il mondo degli adulti non saprà darle. Ogni personaggio che gravita intorno alla protagonista è a suo volta incompleto, a partire dalla madre la quale si scopre inadeguata a contenere questa figlia “anomala”, che sfugge i binari di un’esistenza retta. Troppo borghese, troppo ripiegata nella sua vedovanza: significativo è il rito del viaggio che la donna affronta ogni anno per l’anniversario della morte del marito, fino al paese dove l’uomo è sepolto. Viaggio che la donna vuole sostenere da sola, anno dopo anno, come se quella assenza pesasse solo a lei e non riguardasse anche sua figlia che di fatto cresce senza una figura maschile, senza un uomo a farle da guida. Per Giulio l’universo maschile è sconosciuto e forse proprio per questo ne è profondamente attratta. Ma la sua irrequietezza e la mancanza di una guida (nemmeno il povero padre Dario, al quale Giulio si affida con tutta se stessa, riuscirà nell’impresa) alimentano la sua sete di conoscenze, di esperienze.

 

È peccato andare con gli uomini, questo le è stato detto. Ma lei stessa ammette: “Che cos’è il vizio, se non l’abitudine di peccare, acquistata col commettere spesso il medesimo peccato?

 

A niente servirà la presenza di Lorenzo, il fidanzato storico, ragazzo passivo e incapace di aggiungere alcun significato alla loro relazione. Relazione che si perpetua negli anni in una fissità sconcertante, quasi imbarazzante, e che non può bastare a un’anima inquieta come quella della protagonista. Perché Giulio ha una intelligenza spiccata e selvaggia. Ed è ben consapevole anche della sua bellezza: guardandosi allo specchio riconosce i tratti di un corpo perfetto, corpo che richiama gli sguardi degli uomini. Ma alla fine nessuno di quegli uomini riuscirà a contenere la sua irrequietezza, nessuno riuscirà a completare la nostra giovane donna a metà, nemmeno Franco l’unico ragazzo che Giulio ama veramente e nel quale ha riposto ogni speranza.

 

Il romanzo ebbe la storia travagliata che ormai conosciamo. Eppure, come diceva la stessa autrice: I problemi del sesso e dell’anima, sono eterni come il mondo.

Quindi perché tanto scalpore, tanto accanimento?

Definire bacchettona l’Italia di allora è un po’ troppo riduttivo. Era il 1964 quando uscì “La ragazza di nome Giulio”: c’era il boom economico, ma sulle spalle della popolazione pesavano ancora gli anni della guerra e della ricostruzione. Nessuno aveva avuto il tempo, men che mai i mezzi, per affrontare certe tematiche. Il problema della sessualità era un argomento che le donne stesse non sapevano sostenere nemmeno con loro stesse, chiuse nella loro intimità. Quindi quello che accoglie il romanzo della Milani è un’Italia impreparata, ancora immatura.

Così pensiamo al coraggio di questo romanzo, al gesto di prendere la penna e scrivere la storia di un’inquietudine spirituale e sessuale. A un tale atto di ribellione non può che rispondere un forte turbamento, e il Paese impreparato infatti si oppone con la censura. Il giudice durante il processo dichiarò il libro osceno in senso tecnico-giuridico e non riconoscibile come opera d’arte.

 

Milena Milani già da molti anni era a stretto contatto con un certo fermento culturale tutt’altro che provinciale: vive tra Milano e Venezia, scrive, dipinge, apre una galleria d’arte dove incontra i più importanti artisti dello scenario europeo e non solo. Al contrario del paese che la ospita, lei è più che pronta a affrontare certi argomenti, e lo fa in maniera talmente intelligente e sottile che anche il tribunale più preparato non può far altro che ricredersi e capitolare. E così la condanna a sei mesi di reclusione e all’ammenda di centomila lire per aver scritto un libro tanto osceno, verrà annullata in appello. Milena Milani è una donna libera e il suo romanzo, già famoso all’estero, avrà il meritato successo anche in patria.

 

La ragazza di nome Giulio è un romanzo indubbiamente erotico ma la fanciulla protagonista non ha niente a che fare con una le Mellisse P. che tutti un po’ conosciamo. Giulio è semplicemente una ragazza “che portava un nome maschile, che aveva in sé una insoddisfazione esistenziale perché era una creatura incompleta, che ricercava Dio, che voleva sapere che cos’era il peccato e che infine approdava alla solitudine”.

prima edizione del 1964                                                                           edizione del 1968                                                             edizione SE, 2017