Stefano Sala, Giallo come il fiore dello zolfo,Qanat, Palermo  2019

 

 

Una lettura critica di Teresa Paladin

Piacevolissima e imprevedibile la lettura del nuovo romanzo di Stefano Sala dal titolo “GIALLO COME IL FIORE DELLO ZOLFO”, edito da Qanat. Appassionato di scacchi e nato a Palermo, ma attualmente residente in Toscana, uomo dal retroterra lavorativo variegato ed interessante, dopo la trilogia nera degli scacchi (Il sacrificio dell’alfiere, La scacchiera d’oro, Il pedone avvelenato) Stefano Sala ha saputo regalarci un romanzo dove aspetti di action thriller e venature di romanzo storico sono amalgamati in modo sorprendente ed efficace.

Ogni capitolo è un infittirsi dell’intreccio secondo il meccanismo delle “sliding doors” che tanto piace ai lettori: porte girevoli che si aprono e si chiudono aumentando il fascino dell’imprevisto e della successiva avventura. Ogni capitolo illumina la scena di nuove possibilità: mentre costantemente la porta del destino gira, il mistero si infittisce e il filo del tempo tra passato e presente si riannoda.

Attraverso ripidi e dolci sentieri il piacere della lettura avanza lungo le pagine di questo romanzo dove l’intrigo e la ricerca di un tesoro nascosto animano l’azione fino a rendere irresistibile lo snodarsi della trama.

L’azione del protagonista primigenio, Don Saro Branciforte, barone di Rocca Perciata, protagonista dell’antefatto accaduto nel 1860 al momento della sbarco garibaldino nell’isola, è cristallizzata nel momento in cui affida a uno “scrigno naturale” un tesoro, per sottrarlo alla brama dei piemontesi. Ma quest’ultimo non andrà né ritrovato né dimenticato. La storia ricomincia circa 150 anni dopo in un modo incredibile e fa tornare il “passato” in una formula di caccia al tesoro all’impronta della causalità, ma anche determinata da azioni programmate da alcuni uomini e imprevedibilmente sfruttate da altri, in una rete di connessioni incontrollabili.

Sempre sul filo di una narrazione ispirata all’intrigo e al dominio del caso, il lettore viene coinvolto dalle azioni e da personaggi molteplici, fino a che, dopo che varie porte girevoli si sono aperte e richiuse, compare sulla scena Vittorio, cui il destino mette su un piatto d’argento la mappa disegnata dal barone di Rocca Perciata: documento che lo conduce in Sicilia, isola segnata dalla storia di masse diseredate e di aspirazioni al riscatto sociale infrante dalle delusioni storiche seguite all’unità d’Italia.

Vittorio si ingegnerà per non partire solo per questa avventura: coinvolge Lisa, recente incontro regalatogli dal destino perché lo accompagni e lo sostenga con le sue attenzioni nella ricerca del tesoro. Le donne del romanzo sono icone di femminilità e spesso legate al tema del piacere fisico, intraprendenti e spesso disinibite, passionali e consapevoli, ma anche argute e colte, collaborative e capaci di comprensione e affetto, solidali e complici.

Se tutto è invenzione dell’immaginazione dell’autore, se Vittorio finge di essere in viaggio di nozze con Lisa per non attirare troppe curiosità, la Sicilia che palpita e si mette in moto per supportare questa avventura è reale e viva.

Incollati alle pagine che scorrono noi lettori restiamo Incantati dal cuore identitario della Sicilia, protagonista dominante da un certo momento in poi di tutto il percorso narrativo: “La Sicilia è una bella donna e prosperosa femmina, pronta a donarsi a chi la fa sognare, ma ..non ama essere tradita”.

il soggiorno a Palermo permette a Vittorio di oziare incantato della luce che si riverbera tra gli arabeschi dei monumenti e dei palazzi, ma il dialetto agrigentino presente in certi dialoghi e nelle definizioni ambientali è assolutamente coinvolgente così come i piatti coreografici della tradizione.

I mitici “spaghetti alla Norma” e il “pescespada alla messinese”, esaltati dal vino bianco ghiacciato Alastro di Planeta, costituiscono il trionfo del pranzo dell’accoglienza di Vittorio in un piccolo paesino della provincia di Agrigento. Sapori e profumi che parlano dritti al cuore e ai sensi.. e davvero viene voglia di assaggiare l’aroma del casalingo liquore ghiacciato “ di limone, forte come una grappa e morbido come un sorbetto”.

Come si delinea nella figura di Zu Turi, qui gli anziani sono ancora fonte di sapere, custodi della memoria del passato antico e recente di una terra siciliana che stende sotto il sole le proprie vigne ed è orgogliosa dei propri tesori: l’oro bianco, il sale, e l’oro giallo, lo zolfo. Sono questi i tesori del passato mentre Vittorio sente la festosa atmosfera che si respira ovunque, come la presenza discreta ma reale dei suoi grandi scrittori, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Camilleri, artefici di una profonda riflessione letteraria.

Se le porte si aprono e si chiudono per tutti, unico scenario che non può essere dimenticato da noi lettori è proprio la Sicilia, che appare come un personaggio, vitale e dotata di fierezza culturale, fatta di valori e costumi condivisi, in cui il ruolo delle relazioni è ancora socialmente significativo.

Certo la cupidigia è una passione incontrollata: può albergare in cuori maschili e femminili….nel romanzo però domina e travolge chi la possiede. E se è vero che la Storia viene raccontata dai vincitori Stefano Sala evidenzia che essa talora riserva delle sorprese e può, dopo 150 anni, risarcire i cittadini ignari: quanto occultato nel passato, per la piemontizzazione forzata del Sud, riemerge in forma di rivalsa, gradita e imprevista, con la sanatoria di un atto di giustizia intrigante ed emblematico.