Augusta Romoli, Assolvenze … Dissolvenze. Poesie, Edizioni dell’Erba, Fucecchio 2020

 

 

Augusta Romoli ha pubblicato un nuovo elegante libro di poesie, con le Edizioni dell’Erba di Fucecchio. Anche questo come gli altri libri dell’autrice è degno di lettura attenta, per il linguaggio poetico e per la visione del mondo che viene disegnato.

Augusta Romoli ha lavorato alla RAI di Firenze dal 1979 al 1993 come assistente di registi, tra i quali Orazio Costa Giovangigli, Umberto Benedetto, Guglielmo Morandi, Carlo Di Stefano, collaborando alle realizzazioni di sceneggiati, radiodrammi e vari programmi culturali radiofonici. Ha studiato Teoria musicale, Armonia e Pianoforte. Tra le sue pubblicazioni: Im­magini (Libroitaliano 2004); con Ismeca Il fremito del cielo (2007), L’altra faccia (2009), Lontananze (2013) vincitrice del primo premio Frate Ilaro del Corvo; con Nicomp editore Racconti e storie dei bambini nel Novecento (2015), Frange di vita (2016). Nel 2018 ha organizzato per Arte itinerante l’evento “Poesia, Pittura, Musica” con l’Associazione Pianeta Poesia a Spoleto e nel 2019 lo stesso evento presso La Casa di Dante a Firenze. Ha scritto articoli su RAIFLY e sporadicamente sul Bollettino Lunigiana Dantesca. Molte sue poesie sono state pubblicate su varie riviste culturali. Diversi i premi, tra cui: Premio alla cultura (Città della Poesia, Parma, 2017), Premio alla Carriera (Premio Internazionale della letteratura Frate Ilaro del Corvo, 2019, Ameglia, La Spezia).

Ecco un testo che definisce la natura della poesia.

Poesia

Corteggia circuisce

il tempo la poesia

sino a fissare istanti

a ritroso di vita

che si perderebbero

nel tunnel oscuro del nulla

e s’eterna quel sentimento

che allora da frammenti di stupore

s’espanse in dolce richiamo

all’orizzonte da vie misteriose

d’animo: riflessi cromatici

prisma di luce-spettro.

 

Una nota di lettura di Carmelo Consoli

Nella costruzione di questo suo ultimo volume di poesie dal suggestivo titolo “ Assolvenze … Dissolvenze Augusta Romoli ha posto, alla base della sua idea iniziale di scrittura dei versi, due elementi architettonici fondamentali, che sorreggono e abbelliscono la sua opera dandole una connotazione del tutto particolare.

Il primo di questi elementi sta proprio nel titolo del libro che si pone sia come orizzonte ideale e cammino esistenziale da percorrere sia come decadenza, termine progressivo e regressivo di un percorso vitale. In altri termini rappresenta da una parte l’accesso ad una apertura luminosa di immagini ed emotività  e dall’altra una graduale, inevitabile decadenza delle stesse con l’ingresso in una oscurità ammantata di amara comprensione  e colma di mistero. Per fare questa operazione l’autrice si serve di termini utilizzati nel gergo fotografico dove per: “Assolvenza e Dissolvenzasi intendono quelle operazioni in cui si apre o si chiude l’otturatore della macchina fotografica per accedere, focalizzare l’immagine, ingrandirla, avvicinarla, illuminarla oppure per uscirne parzialmente o totalmente in una graduale sfumatura.

Il secondo elemento poggia sul suo iniziale progetto musicale per impostare e suddividere i versi in movimenti , in una sorta di spartito d’opera che dà ritmo e vitalità all’intera composizione. Si va quindi da un iniziale “ Andante” ( la parte più corposa del libro) per passare successivamente ad un “Adagio” carico di ricordi e riflessioni e per finire in un vigoroso “Presto” che chiude sotto forma poematica il volume. Bisogna dedurre quindi che sono chiari i richiami agli strumenti e alle modalità del lavoro, che ha caratterizzato per anni la sua attività  in Rai , dal 1979 al 1993, e la sua formazione attraverso gli studi di Teoria musicale di Armonia e pianoforte.

Sono dunque ricorsi a quelle formalità ed esperienze che trovano un felice utilizzo nella sua espressione poetica fondamentalmente basata su una acuta osservazione degli elementi naturali che la circondano e che scatena in lei una profondità di riflessioni e considerazioni esistenziali, in cui si mescolano bellezze, stupori , voli cosmici e immersioni nel mistero della vita alternati da amare considerazioni  e ombre che si allungano sul corso vitale. Dunque il binomio Luce-Buio che attraversa l’opera si dipana  tra una conflittualità della luminosità  naturale e spirituale, dal suo rigoglio  e splendore  e l’opposto oscuramento e distruzione; una partita giocata sempre con spirito di cristiana visione del percorso esistenziale.

Molta parte delle  liriche sono dedicate alla natura rappresentata da ( foreste, fiori, alberi, fiumi, coralli, boschi, mare) dove è una costante  la modalità conflittuale di cui parlavo prima, con una prevalenza però di stupori e bagliori rivitalizzanti. Molto bene scrive l’autrice della natura fondendosi con essa in un ideale abbraccio come ad esempio nelle liriche “Le belle di notte”, Fiore di campo, Musica dallalbero,Nel silenzio ascolto,Nel boscoIn altre poesie la Romoli si esibisce in una arguta analisi  dei mali dell’umanità, della sua autodistruzione e brutalità  soprattutto in una condizione di precario ecosistema, come in : “Fragilità,Preghiera dei corallioppure si dedica a cantare il mistero della vita, o scontro tra il Bene ed il Male.

Ed ancora molto interessanti sono le sue aperture poetiche  laddove risuonano note musicali come in :“ Involato è il tempo oppure nella poesie Lincontro,Nel silenzio ascolto momenti in cui la sua fantasia si lascia suggestionare dalla musica. Ma direi che tutto il volume è attraversato da una costante ricerca della musicalità  tra contatti ed incontri onirici, con luoghi e personaggi. Insomma Augusta Romoli percorre nella prima parte del libro ( Il tessuto del tempo)  un sentiero poetico  colmo di visioni ed emozioni, di domande e argomentazioni, dialoghi in cui si risalta tutta la caducità dell’ambiente naturale ( dibattuta tra illuminazioni sognanti e oscuramenti della realtà) e il mistero che circonda i mondo e l’esistenza.

Nella seconda e breve parte del libro dal titolo Reminiscenze” l’autrice si abbandona alla dolcezza dei ricordi e all’amarezza del non fatto, dell’incompiuto, per comporre un quadro memoriale in cui porre la figura del compagno e coniuge scomparso. Scrive nella poesia: “Il nostro Oltre” :/ Ora che sono trascorsi/moli anni, oggi/appena soffi sparsi/ negli spazi allora pieni/della tua presenza,/ cosa è rimasto nelle stanze vuote/ del mio esserci ancora/se non il silenzio?…/.  Una serie di immagini tra empatie e smarrimenti, percorsi nella fascinose strade di Firenze, ricorsi alla natura e ai suoni in quella ultima lirica che chiude la sezione dove immagina il marito come un tenero uccellino che ritorna a primavera.

La terza ed ultima sezione di questa interessante, piacevole, impegnativa silloge ha il titolo di “ Fantasia con fuga” ed è una sorta di incalzante poemetto  in cui si racconta , con una entrata di stampo dantesco, un dialogo tra un aldilà trascendente e un coro di poeti;  l’appello che viene appunto dall’isola dei poeti che ripropongono la loro condizione vitale dibattuta tra incantamenti e smarrimenti, tra armonie e brutture, tra bellezze e inquinamenti, tra prevaricazioni e soprusi  ed in cui la loro condizione appunto di poeti sognatori  è ancora più penalizzata e distruttiva. La lunga lirica ha il suo apogeo quando recita : “ ora siamo qua, in questa isola disincantati: poeti, pittori/scienziati, distaccati / dalla globalizzazione/ dallirreggimentazione dei costumi/riflessi del nostro libero pensare/ ma vorremmo tramandare/ a chi davvero ascolta / la nostra conoscenza/: un modo per trasmettere/ ad altre esistenze/il bello della vita percepito/ come determinazione delbene/ perché non si dissolva…/. Ed in questo modo Augusta Romoli assolve anche al compito a cui sono chiamati gli artisti ossia di salvare e salvaguardare a loro modo la bellezza e la Grazia del mondo.

La parola lirica di Augusta Romoli si snoda con versi prevalentemente brevi, asciutti, procede per improvvise visioni, a cui spesso seguono  risvegli nella cruda realtà quotidiana. Una parola che cerca, con esito felice, nella sua essenziale ossatura suoni, cromie e fragranze senza cedere a sentimentalismi e inutili fraseggi.

Concludendo penso che il suo progettuale pensare lirico sia sfociato in una una silloge molto bene costruita, sia nella versificazione contratta e a cascata che nelle variegate tematiche esistenziali affrontate. Un libro questo di Assolvenze e dissolvenze, che ripropone sia con lucida visione che con onirica trasmutazione, l’apertura alla bellezza e alla Grazia che vorremmo e la fragilità, l’inquietudine, le disarmonie che non vorremo ed in cui spicca il mistero che circonda il nostro esistere.

 

Una recensione di Angela Ambrosini

Una dialettica tra luci e ombre, questa avvincente silloge di Augusta Romoli che fin dal titolo, attraverso un lessico cinematografico, ondeggia in un continuo dualismo tematico chiaroscurale, anche se solo apparente, sulla transitorietà del vivere.

La struttura esterna del libro si dipana attraverso un ideale spartito musicale diviso in tre sezioni che tradiscono la pregressa formazione settoriale della Romoli, studiosa di Teoria musicale, Armonia e Pianoforte: alla prima sezione, la più estesa, “Il tessuto del tempo”, sottotitolata con la dicitura “andante”, seguono le altre due, “Reminiscenze” e “Fantasia con fuga”, rispettivamente definite dai movimenti “adagio” e “presto”.

La nomenclatura del registro musicale delle sezioni sta alla forma, cioè al fluire dei versi e alla scansione ritmica delle immagini, nello stesso rapporto in cui il lessico cinematografico del titolo della silloge sta al suo contenuto, al suo tema portante, come sopra accennato, cioè l’unione dei due opposti, luci e ombre, sole e tenebre. Ed è in questa serpeggiante intersezione, per l’appunto, di “Assolvenze e dissolvenze” che la Romoli tesse la sua tela poetica e conoscitiva attraverso un sofferto cammino spirituale dove l’alta frequenza di certi lessemi si fa solco netto e visibile per la meta. Innumerevoli sono i termini legati alla notte, intesa nella duplice accezione sia di mancanza di luce che di fulgore (buio-stelle). “Lampada ai miei passi è la Tua Parola, Signore”: il versetto del Salmo 119 occupa la parte centrale della lirica d’apertura, Logos, a voler additare al lettore l’equivalenza della “parola di Cristo” con la “Luce”, (termine dalla poetessa non a caso evidenziato con la maiuscola), della “via da seguire” verso una “Armonia divina”. Più o meno inconsciamente, la Iluminatio, una delle tre vie conoscitive del percorso d’estasi mistico, guida l’autrice fin dall’incipit dell’opera nel doppio binario logos divino e parola poetica. La lirica intitolata Poesia (p. 30), ci fornisce infatti la giusta lettura metapoetica dell’involucro verbale in cui la Romoli si muove: dal “tunnel oscuro del nulla” che ingoia attimi e anni di vita, “corteggia, circuisce / il tempo la poesia” fino a dilagare in “prisma di luce-spettro”. La luce (anche quella della parola poetica) scaccia le tenebre, ma lungo e tortuoso è il tragitto da seguire, o meglio, da vivere, in una specie di catabasi alla quale l’uomo è condannato prima dell’ascesa finale, la “sublime immensità” (Oltre l’alba, p. 31) nella quale si scioglie l’opposizione buio-luce. La notte stessa si fa quindi “serena sintesi degli opposti” (Notte, p.48), nel “buio tramato di sciami lucenti” (Nuclei incandescenti, p. 43) e rievoca, in una dimensione di lontane affinità e assonanze sia pur casuali, la notte mistica di san Giovanni della Croce, notte che, “più grata dell’alba” e con veemenza persino maggiore della luce meridiana, guida il grande poeta spagnolo verso l’unione mistica con Dio. Parimenti, la nostra poetessa si affida alla forza conciliante dell’ombra con quest’intimo atto di abbandono consolatore “tra le tue braccia notte / m’acquieto: fratto era il mio cuore” (Notte, cit.). Altrove, in chiusura della lirica La volta dei sogni (p. 52), ci viene posta la domanda retorica “È dell’Io la notte vera esistenza / autentica libertà dal giogo diurno?”.

L’immagine di copertina della silloge (un tortuoso corso di ruscello, opera del figlio della poetessa), indica, attraverso il motivo del “flumen vitae” il percorso del vivere, un percorso che, nei versi della Romoli, non è mai scisso dall’abbraccio con la natura. Innumerevoli sono, secondo un canone di ascendenza romantica, i riferimenti espliciti e reiterati a un paesaggio voracemente scrutato e voluto sub specie aeternitatis, quasi alla ricerca di un’ultra-natura nella materia. Una poesia dei sensi ma non per i sensi, vettori di sintesi e compiutezza conoscitiva. Emblematica è al riguardo, tra molte altre, la lirica Sistema aperto (p. 44), dove il verso si apre a una speculazione più marcatamente filosofica nella visione di “quel filo otre la fisicità” di “un sistema chiuso” e “al di là del retiforme spazio/tempo” nel quale “il vuoto assume forma /…/ di un nuovo sistema aperto / senza tempo”. È, nuovamente, l’incontro fulgido e mistico con l’assoluto, con il conseguente annientamento di “spazio/tempo”. Di qui che l’autrice più volte e, crediamo, non casualmente, disponga l’endiadi “spazio e tempo” in una versione tipografica con la barra obliqua, motivo per cui, anche altrove, le coppie “luci/ombre, “colpa/non colpa”, “inganno/apparenza”, “bene/male”, più che figure retoriche formali, spesso ossimoriche, paiono piuttosto deliberate contrapposizioni tassonomiche volte a un’esplorazione quasi scientifica dell’universo.

Altrove, l’indagine cambia registro e si addentra nei territori dell’impegno civile, non solo in termini di tutela della biodiversità e dell’ecosostenibilità (si vedano L’arca della salvezza, p. 8 e La preghiera dei coralli, p. 37), ma anche in un’ottica allargata a foschi orizzonti etici che la spingono alla composizione di un poemetto finale L’isola dei poeti, occupante l’intera sezione ultima Fantasia con fuga, nella quale, da una prospettiva storica futura, parla di un infausto passato già avvenuto (“In seguito la morte dei valori / universali rese afflitta l’umanità”). Ma il tono più austero e perentorio è da lei dedicato (crediamo, in onore del padre) a un concetto inedito di Resistenza, quella degli Internati Militari Italiani, designati con l’acronimo IMI, che nel loro “NO (all’unisono) / all’asservimento nazista” furono i “veri / ‘resistenti’ di un’altra guerra”, silente e purtroppo ancora misconosciuta. “Erano seicentomila, / ‘erano giovani e forti’ / (per fame 50.00 nei lager / sono morti)” (Quale Resistenza? (nuova luce, 25 aprile 2020).     (p. 38)

Torniamo ora a quella certa temperie romantica dei versi della Romoli che sovente la sospinge a increspature ricche di pathos, ma mai scomposte. L’ombra di Leopardi (invocato in epigrafe nella lirica Il sipario a primavera) sembra allearsi con la potenza immaginifica degli Inni alla notte di Novalis, in particolare nell’annientamento dicotomico di tempo-spazio, ma queste icone di non premeditata e pedissequa assimilazione, risultano agenti vivi nell’ampia messe di letture e studi di cui la nostra poetessa si è via via nutrita anche in virtù di una non comune frequentazione in settori eclettici del sapere. La sua tenace consonanza con la natura presenta una forte connotazione visiva che si manifesta persino attraverso un reiterato schema formale nel quale il paesaggio, veicolato in apertura delle liriche da un’accumulazione vorticosa di aggettivi e da frequenti asindeti, fa da eco ritmica al gioco di allitterazioni, enjambement, sinestesie, rime interne (“un languidore traversò le mie ore”, in Isolamento-tempo di Coronavirus), e da una certa classicheggiante impostazione delle orazioni che vede nel genitivo anticipato un espediente di marcata musicalità. Molteplici sarebbero gli esempi da citare nei quali la meditazione in overture sul paesaggio si apre a una musicalità distesa e avvolgente per poi approdare a una riflessione circostanziata sulla vita. Ma, fra tutti, non possiamo non soffermarci sulla bellissima lirica Si spenge la bellezza di Firenze (p. 60) compresa nella sezione Reminiscenze dedicata al ricordo del marito. Già nella precedente poesia Fuga dalla vita (p. 59), la poetessa si riferisce alla sua vedovanza come a “questo tornante tormentato / pur prezioso della via terrena” e anche adesso, davanti alla splendida veduta di Firenze (un tempo condivisa in “doppio sguardo”) ribadisce il suo “tornante / di nuova solitudine” nel quale, purtuttavia, il ricordo vivido dell’amato, la sua “ombra / si fa guida di nuova via, / l’unica sognata, anelando l’Infinito / luce che si fa nuova scia / dal dissolversi del finito”. È con serenità e con saggezza che Augusta tramite la poesia “sensazioni ritrova di gioia” e “come una moviola / ferma quegli istanti, ora presenti” (Pioggia di foglie (p. 57). Spesso affiora il vecchio leitmotiv della vita come sogno, come “visione onirica / nell’azzurro infinito spazio” (Primo suono, p. 62), ma è un sogno che non naufraga mai nella ingannevole apparenza del quotidiano, alimentandone, al contrario, l’indagine metafisica oltre la soglia del fittizio. “Senza desiderio arriva il saggio alla meta”, recita un vecchio adagio taoista e, senza forse averne consapevolezza, la nostra autrice ha raggiunto il mirabile equilibrio tra dolore e speranza, tra rimpianto e accettazione: “ma dalle feritoie del dolore / intravedo il valore / nelle piccole cose: / ora il mio sguardo si fa lungo / sul corso delle acque luminose /che si dileguano lontane”. (Lungo l’Arno) (p. 26).