Sabato 9 novembre 2019 alle ore 16,30 nello spazio dell’altana della Biblioteca fiorentina Thouar
si  è avuta la presentazione del volume di Alberta Bigagli La mia amica Antigone.
Moderatore Giuseppe Baldassarre.
Introduzione di Fiorella Falteri.
Interventi critici di Mariella Bettarini e Michele Brancale.

 

Inseriamo qui di seguito  la relazione di Michele Brancale.

Alberta Bigagli (1928-2017)

Nel farmi dono della sua terzultima raccolta di poesie, Alberta mi scrisse una dedica che recita così: “A Michele che salmeggia nel quotidiano”… La dedica è del 2010. Avevo pubblicato nel 2009 ‘Salmi metropolitani’ e Alberta doveva averlo letto, trovandoci qualcosa di congeniale e in sintonia con la sua ricerca, che si fa spesso invocazione, in una stagione di ripresa dopo avere sperimentato l’avvento dell’età più lunga, l’anzianità, e una debolezza fisica che l’aveva condotta in quei luoghi “di frontiera”, di “dogana”, che non di rado sono gli istituti.

Mi sembra che già nel 2009, al momento in cui Passigli ha editato tutte le poesie e le prose liriche, sotto il titolo di ‘Amore fu’ e il sottotitolo di ‘La poesia di una vita’, Alberta avesse adottato quel punto di vista che Betocchi, al quale del resto dedica proprio ‘Amore fu’, rivela in un testo delle ‘Poesie del sabato’, scelto non a caso per la raccolta ‘La mia amica Antigone’ (2019), nell’assunzione della “vecchiaia” come “una nuova stagione”, come “silenzio che non si perde nel nulla”.

A questo senso del “silenzio” ci era arrivata con un bagaglio preciso, che Valerio Nardoni, Franco Manescalchi, Giuseppe Marchetti e Giuseppe Baldassarre hanno ricostruito con osservazioni su cui è opportuno ritornare.

Dunque cosa c’è nel bagaglio? Bigagli è una psicopedagogista che ha il culto della parola, del valore che essa ha come semina e come ponte per entrare in relazione con gli altri.

Gli scritti raccolti in ‘Amore fu’ coprono un arco di tempo che va da ‘L’amore e altro’ del 1975 ai ‘Salmi laici’ e ‘Agli amici di Villa Ulivella’.

Veniamo a contatto non solo col mondo interiore dell’autrice – un mondo solare che resiste alla “leggerezza”, cioè alla fragilità, della vita – quanto con quello dei ricoverati dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi, come anche dell’Ospedale di Montelupo e dei detenuti nel carcere di Prato.

Siamo di fronte a un’esplorazione di luoghi e mondi che si fa testimonianza umana da una parte ed espressione compiuta di alto valore letterario dall’altra.

L’abilità di Bigagli si rivela nel ricostruire, in versi, quei dialoghi avuti con gli altri che si fanno storia, espressione possibile dell’essere insieme vincendo con la parola l’isolamento (“Ci appartengono gli altri/sono il sole che avvolge”).

Dice di sé “io pratico la buona volontà”, “son anche una pietra/ segnalata da mappe/invasata in argille/con memoria di voci” e con un riferimento di fede che percorre in filigrana tutta la sua opera.

Dice del ‘Logos’ (‘La Parola’, come l’evangelista Giovanni chiama il Cristo) “che è interno e mi contiene”.

Bisogna a questo punto fare un tentativo di ricostruzione filologica e soprattutto cronologica. ‘La mia amica Antigone’ raccoglie testi scritti dal 1995 al 2009 ed è di fatto un estratto di ‘Amore fu’ . Dunque questi sono testi propedeutici a ‘Dopo la terra’, i racconti, e ‘Rondini…’.

In ‘Antigone’ la parte più corposa è quella dei ‘Salmi laici’ Pronunciamenti in tredici terzine raccolte sotto il titolo di salmi laici, ma i salmi sono in sé laici! Sono l’espressione di un re che dà voce a se stesso e ad un popolo. Anzi, stando allo studio degli esegeti, il soggetto del salmo parla al singolare ma è plurale.

Credo che quest’insistenza sulla parola “laica” fosse dovuta al rapporto di rispetto e distinzione che Alberta aveva per Chiesa e Fede.

Alberta li chiama dunque Salmi, ma li specifica in forma di nove ‘Pronunciamenti’ in ordine a temi e scelte che si pongono in contraddizione. Alberta si pone “non di fronte alla Chiesa ma alla Fede” e individua priorità rispetto alla scelte di fondo e rispetto allo stato del mondo. Nel mondo riscontra la presenza di una falsa libertà (“valvola scarico illusione abuso della libertà”, “selezione a rovescio che diminuisce i bambini”, sulla quale ritornerà in ‘Sentimento del tempo’).

Dal balcone dell’anzianità Alberta descrive con efficacia le possibilità di questa condizione nel pronunciamento quarto:

Vanno non vanno ma non sono fermi e non si può

anzi la loro testa all’indietro chiama il passato

che non risponde poiché sta nel tempo non nello spazio”

noi siamo perché fummo e un vento ci trattiene”

Se si è avuta “intelligenza d’amore” (“Ho atteso il dono che sarebbe più ambito/ che non ha avuto nome perché non sia distrutto/ dico di quella cosa ch’è intelligenza d’amore”, secondo pronunciamento) si impara a cogliere “i suggerimenti del vento”, cioè dello Spirito e allora anche “una giornata qualunque è un apocalisse” (terzo pron.), cioè una rivelazione. Così si può maturare come “ogni gesto d’amore è ghianda e spigo per l’inverno” (primo pronunciamento) e la speranza di essere “stata fra gli atomi che sono e fanno essere”.

Nella sezione ‘Sentimento della storia’ vi sono tre composizioni che si connettono ai nodi del tempo presente. Mi pare sia evidente l’attualità della poesia ‘E’ ancora il tempo di Anna’ (Franck, ndr), del 2003, dove vi è il rimpianto e la prospettiva per una politica che è quella messa in campo dai padri costituenti: “Politica era questa e non è vero che fu odio./ Fu ansia grande ansia nel cuore dei più”, mentre agli inizi del nuovo millennio “E’ stata ammessa con cinismo dai Cesari attuali/ la somiglianza il gemellaggio fra la guerra e la pace”.

Quei versi sono espressione di “intelligenza d’amore” e del “silenzio” enunciato da Betocchi. Un silenzio eloquente, quello di Alberta, nel quale sono po nati nuovi libri, germinati su queste linee di fondo.

Successivamente, infatti, sono stati pubblicati, lei in vita, altre due raccolte di poesia (una per Passigli, ‘Dopo la terra’, 2013, e l’altra, ‘Rondini, corvi e piccioni’ , 2016, per Polistampa) tra le quali ve n’e una di racconti (“Morirai con un foglio in mano”, ed. Valigie Rosse, 2013). Postuma, quest’anno, è uscita ‘La mia amica Antigone’.

La scrittura più recente per noi ma ultima per Alberta Bigagli si è sedimentata prima intorno a visioni, meditazioni e pronunciamenti, talvolta declinati con qualche sentenza, quindi con una raccolta degli angoli dell’esistenza, per non dimenticare nessuno, come nei racconti, che le consentono di tornare nel tempo del suo essere telefonista alla Teti a fianco a colleghe cui dedica un ritratto, da collocare accanto al suo:

… a volte emano potere… anche se vorrei tenerezza. E’ così che si realizza il proprio sdoppiamento. Una sorta di schizofrenia intellettuale. Sì, questo porta sofferenza, ma tutto è meglio ne sono convinta, del solito opportunista e volgare adattamento” (Dai racconti, 2013).

Nel silenzio che non si perde, nella nuova stagione che porta sulla linea estrema di confine “noi stessi e il corpo del tempo”, Bigagli conosce “un altro vento”, che lascia intuire cosa può esserci ‘dopo la terra’. A me sembra il soffio di un vento biblico, è la “Bibbia dentro”, “la traccia oscura che salva”, il segno del “terremoto cristico”, “lascia che soffra con le mie parole/tutto il crescente male del mondo”, “amore è che decide incide e recide”.

Il lascito finale è in ‘Rondini, corvi e piccioni’ che esplicita, con una poesia più descrittiva e intuitiva, meno puntata sui concetti da spiegare, un altro tassello del mosaico esistenziale degli ultimi anni di Alberta: “Dentro noi ci portiamo i paesi e le città/ dentro noi abbiamo fiumi e gallerie”. Le contraddizioni dell’esistenza diventano un paesaggio ricomposto, offerto, dove si fa spazio, ancora una volta, alla voce degli altri: “Io le sento le voci dei bambini/ che si intrattengono nel prato”.

Credo che gli ultimi anni di Alberta offrono materiali da sistematizzare, anche quelli che si presentano come editoriali della sua rivista che non a caso si chiamava ‘Voce viva’. Vorrei concludere proprio con una sua dichiarazione del maggio 2011:


“Noi abbiamo una visione. Noi chi? Lo so, sento di avere intorno una folla oltre quella reale e toccabile. lo avverto un fenomeno: l’eco dei sogni. Sogno se sono sola ma l’alone dei sogni stessi si fa caldo, sviluppa senso di compagnia. Due mattine fa vidi ad est nel cielo accendersi un viola splendente, frizzante, fra nubi poco consistenti. Tre sere fa verso ovest m’era apparso, al chiudersi della luce giornaliera, un colore nell’ aria indefinibile sottile, forse un pervinca. Vestiva la cornice dei tetti, tegoli bruni, la cornice di piccole mansarde. Scendeva il cielo o saliva la terra? Poi è venuta la neve. Annebbiante e grigio perla durante la caduta, poi rigonfiante. Bianca di un bianco che sfida, con brevi bagliori diamantici. Il mondo può diventare candido? Si e da sempre. Ma ogni volta ci sorprende….

La visione è un corteo di ombre nella fede, poiché non si toccano il passato e il futuro. Al centro il presente e noi stessi, che stiamo seminando dopo avere raccolto. Che stiamo cantando, senza saperlo, un canto dolce e insistente, non percepibile dal potere nè dalla protesta disperata. Che ci lascino vivere, a noi basta. A noi, la schiera della gente che non si vende e marcia con gli occhi verso la luce. Si diceva appunto, che noi abbiamo una visione”.