Alice Cappagli, Niente caffè per Spinoza, Einaudi, Torino 2019

 

 

Una recensione di Teresa Paladin

 

Un libro divertente e frizzante: un inizio in sordina, con un tono quotidiano che pian piano, pagina dopo pagina dimostra un equilibrio dinamico tra ironia e consistenza dei  fatti narrati.

Lo  spessore è evidente, come dimostrano le numerose  citazioni filosofiche che lo attraversano senza dargli il look del saggio o del romanzo filosofico  ma con un’apertura indiscutibile all’ ottimismo: da qualunque situazione, anche un’impasse  economica che si affianchi al disastro di  un matrimonio senza dialogo dove “parlare e tacere era diventato uguale”, è possibile ricominciare e scegliere un nuovo percorso.  Maria Vittoria a 40 anni è la protagonista di questo rilancio esistenziale.

Tutto riparte dal  rapporto che la protagonista stabilisce  in qualità di badante con un anziano Professore, cieco da 10 anni ma che “  vede benissimo”  i colori degli oggetti ma soprattutto le pieghe del carattere altrui :  “ci sono cose che galleggiano sulla superficie della vita…. sono quelle che contano”. Il ciclone della vita irrompe da questa sferzata di autenticità e vitalità che l’incontro col Professore regala a Maria Vittoria.

Troviamo nel testo  la protagonista che vive la felicità nell’aver ritrovato lavoro, l’odore del basilico fresco regalato al professore, straordinariamente impegnato a dar valore alle relazioni con amici e parenti e vitale, nonostante l’età,  nel suo approccio al quotidiano.

Di fronte agli eventi, imprevisti o quotidianamente ripetuti, la vita di Maria Vittoria si colora delle frasi  di filosofi lette per contratto: “Il mistero sta nel creare, non nel distruggere”, infatti tutti abbiamo qualcosa di irrisolto che ci “rende la vita più dura, ma nello stesso tempo… induce a cercare la soluzione”;  come scrive Epitteto  ”Essere zoppo è un impedimento per la gamba, ma non per la scelta di vita”.

Lei, dai  libri e dai nuovi incontri con persone legate al Professore in quanto parenti, amici, vicini di casa, ex alunni,  troverà così  nuove idee per leggere il suo quotidiano. Dopo una vita di adattamenti elargiti alle volontà altrui una ventata di indipendenza le  fa assaporare una libertà nuova e costruttiva, un nuovo stile di relazione verso la famiglia di origine e  con un marito (senza nome nel testo) che diventerà “ex” nel corso della storia, scelta in precedenza impensabile.

Intanto il Professore, che si sta  avvicinando consapevolmente verso l’evento ultimo dell’ordine naturale,  aiutato da Maria Vittoria riprenderà in mano il filo di ricordi spezzati rimpastandoli e riconciliandosi col suo passato.

La storia si svolge in una città in cui l’esplosione di colori e  profumi del mercato centrale sono una vera “fabbrica di allegria”. Livorno , culla dell’ironia ma non per questo sciatta e priva di un’anima profonda, è la città vivace dove tra Piazza Mascagni e Villa Fabbricotti  rintracciamo l’anticamera ideale per sentimenti autentici come la fiducia tra estranei,  il vivere le emozioni “sulla pelle” senza nascondimenti e infingimenti,  l’immediatezza di accostarsi a persone che non si conoscono giungendo ad annodare percorsi di destini separati e tutto sommato diversi  in una rete amicale di condivisione delle cose e delle necessità.

Fino a quando Maria Vittoria   arriva  a comprendere che ha ragione il Professore: dai libri che amiamo si impara a ripartire sempre. Anche quando le energie sembrano affievolite  questi fari di preziosa  saggezza permettono di illuminare il cammino. C’è in loro un mistero, una sapienza  che affascina: Maria Vittoria “sente” questa bellezza della cultura e decide di tornare a studiare.

Le pagine finali ci raccontano che la serenità è una bella conquista e tra gli incontri sempre possibili per ritrovarsi in sintonia con la vita troviamo il sorriso di un nuovo amore che sboccia.