Fabio Stassi, Con in bocca il sapore del mondo, minimum fax 2018

L’ultima spiaggia di via Veneto e un uomo con il cappotto in ogni stagione (Vincenzo Cardarelli). Un concerto di passerotti sul davanzale e un baritono mancato (Eugenio Montale). Lo scalo di un treno alla foce di un fiume e un accordatore di parole (Salvatore Quasimodo). Il salotto borghese di una casa in collina e un collezionista di farfalle (Guido Gozzano). Un mercoledì delle ceneri e un vecchio capitano in esilio (Gabriele D’Annunzio). Il baraccone di un tiro a segno e l’uomo dei boschi (Dino Campana). Il retrobottega di una libreria antiquaria e un figlio del vento (Umberto Saba). Una raccolta di francobolli e un funambolo solitario e malinconico (Aldo Palazzeschi). Un concerto di bossa nova e un bambino di ottant’anni che aveva la voce di Omero (Giuseppe Ungaretti). L’invettiva contro la luna e una donna che pagava i caffè con dei versi (Alda Merini). Fabio Stassi rende omaggio al Novecento e alla grande dimenticata del panorama letterario nazionale, la poesia, con una coraggiosa avventura mimetica e fantastica. Rimpatria nel mondo questi dieci autori, li fotografa in un gesto, li fa parlare in prima persona, dopo la morte e oltre la morte, da quel punto sospeso dello spazio e del tempo in cui sopravvive la voce di ogni poeta. Ne viene fuori un racconto in presa diretta della loro vita, di quello che pensavano della scrittura, delle idiosincrasie, ossessioni, desideri, dolori, allegrie. Dieci monologhi appassionati e coinvolgenti, una dichiarazione d’amore.    
Una lettura critica di Teresa Paladin
 Il SAPORE DELLA POESIA
Un’avventura nella poesia del Novecento, un viaggio nella vita e nei pensieri di dieci poeti diversi tra loro. Né un saggio, né una presentazione manualistica o esaustiva degli autori il testo di Stassi: infatti la narrazione mimetica perfettamente riuscita crea la sensazione che siano proprio gli autori a parlare di sé. La lettura dei monologhi arriva ad annullare il tempo, a far dimenticare la distanza che ci separa da questi dieci poeti; la loro voce sembra viva, mentre ognuno di essi si rivolge direttamente a noi lettori e ci racconta aspetti quotidiani e caratterizzanti della propria vita, oltre al proprio carattere e mondo interiore. La dimensione del racconto fondato sulla memoria interiore è molto efficace: la conversazione del poeta che ci rivela se stesso ci permette una visione più realistica e meno “isolata e distaccata” del mondo poetico,  ridisegnando il profilo di questi poeti secondo una inconsueta versione autentica e dinamica. Dieci monologhi che trasmettono emozioni e ci fanno sentire vicina l’umanità di questi poeti, nelle loro sofferenze e gioie. Il “poeta”, un genere distante dalla moltitudine, elitario e solitario per scelta, qui appare raccontato e presentato da Fabio Stassi nelle sue sensazioni ed  esigenze personali, nella grandezza fragile e pulsante di uomo che attraversa la storia del suo tempo e la interpreta. Nella scelta dei poeti pertanto il filo conduttore, né cronologico né tematico, è puramente il racconto esistenziale,  al di là di ogni tendenza poetica e scuola di pensiero. Poeti che hanno per destino, o per vocazione, la solitudine ma che leggono i temi della vita umana  con divertente ironia e sdrammatizzazione. “I poeti –scrive la Merini- sono dromedari perché attraversano il deserto della loro solitudine cosparsa da tante mine che sono le loro parole” ma anche  “non ho mai smesso di aspirare alla felicità e di trattenere l’amore come un talento”   Un filo che da Dino Campana, che diceva che  la vera follia era per lui stata la letteratura, conduce ad Alda Merini che pensava che, invece di parlare della poesia,  valesse molto di più parlare della vita, “perché la poesia può essere buona o cattiva, ma è solo un modo  di esprimere la vita”. Si comprende che iniziare dal “matto” Campana e concludere con Alda Merini è un’opzione ermeneutica: il genio, l’andare oltre la razionalità è forse  la cifra dell’essere poeti. C’è la follia solo dei matti? O un brandello di follia tutti lo pensiamo presente anche nel nostro vicino di casa? Incontrare questi poeti con Stassi è un piacere da non perdere. Troviamo Gozzano, seriamente malato e poeta dell’ironia sentimentale, che affronta con una certa eleganza il morire. D’annunzio, riferimento imprescindibile per gli altri poeti,   inventore di espressioni linguistiche e modello di esuberanza e musicalità. Il collezionismo di Palazzeschi,  la cui casa era un “inno alla vita che vale sempre la pena di essere vissuta”. Cardarelli, quello “con il cappotto in ogni stagione, anche d’estate”  e dalla contemporaneità assordante, con la sua vita attraversata da abbandoni parentali e  amore per la solitudine in una Roma che “dà una felicità tortuosa” perché, dietro la magnificenza monumentale, nasconde il vuoto. L’amicizia e il senso della propria terra, della propria patria sono i temi di cui ci parla Ungaretti, con la casa vicina alle tende dei beduini e le sue parole che scavano nel profondo: ”La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. “Sono stato soltanto uno che ha molto amato, molto sofferto, e anche molto sbagliato, ma che non ha odiato mai”. Troviamo Saba che usa l’endecasillabo ma lo  sdrammatizza  con una poetica costituita da immagini e che si riteneva “una cassa di risonanza per il destino di tutti”,  La sua indiscutibile dolcezza e la genialata dell’invito a cena di Giacomo Leopardi lo rendono un personaggio  divertente. Montale con la sua volontà di non replicare la poesia ufficiale e di moda per sgombrare il campo dai toni dolciastri e fittizi  diffusi nella letteratura italiana del tempo, per creare suoni diversi e più aderenti all’asprezza dell’umano esistere. Quasimodo, siciliano figlio di gente del popolo, con le sue traduzioni che restituivano ai classici la loro voce antica, riportando la poesia nelle note della musica e non della semplice sonorità baroccamente adornata.   Questi dieci monologhi si offrono a noi lettori per raccontarci  il sapore delle  vite reali e coinvolgenti di intellettuali dediti alla poesia,  un settore considerato di “nicchia” nel panorama letterario nazionale.  Stassi ha voluto riscattare questa condizione di separazione e ha reso dignità alla poesia intesa come decodificazione, come ricerca di un significato al cammino dell’uomo. Del suo testo Stassi ha scritto che  “è solo un gioco di imposture letterarie”, un gioco ben riuscito e già sperimentato in precedenza per personaggi di romanzi e con Charlot, pensato in modo tale che  “se attraverso queste pagine a qualcuno verrà voglia di ripassare dalle parti di uno di qualsiasi di questi autori e delle sue opere, ne sarò felice”.