Giuseppe Panella

L’OCCASIONE DELLA POESIA, 2007-2014, Interlinea Editori

 

Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum, / quandoquidem natura animi mortali habetur: LUCREZIO, De rerum natura, III 828-829

 

Il primo verso è l’esatta traduzione della formula di Epicuro. Per i filosofi

tra cui Cicerone nel I delle Tuscolane, avevano in più modi affermato il concetto: la morte non è un male – Epicuro, addirittura dice che non ci riguarda neppure. Il concetto di Epicuro: “La morte non è nulla per noi, perché il disciolto non sente e il non sensiente per noi è come nulla…” È ben presente nell’animo di Giuseppe Panella il concetto legato alla paura della morte: “La morte non è nulla per noi, poiché quando noi siamo la morte non c’è, e quando la morte c’è, allora noi non siamo più”. I concetti su esposti godono di una logica stringente ma questo non ci impedisce di scontrarci tra serenità e sofferenza, dolore e piacere.

Può solo dirsi che, nel corso della nostra vita anche se talvolta speriamo,

la speranza è offuscata dalla sofferenza. E un attimo di piacere viene annientato dal dolore. L’uomo ha bisogno dell’amore. L’amore è legato al vissuto. Il vissuto fa riferimento al passato e, ogni attimo, ogni sorriso anche se durato lo spazio di una notte, ha in sé allegria e mistero. Mistero perché ci è ignoto il suo evolversi.

Mi sono immersa nella lettura de L’occasione della poesia per

avvicinarmi all’amico e magister Giuseppe. Comprendere la poesia è giungere al cuore ed era per me importante avvicinarmi a un cuore generoso e sapiente che non è più tra noi.

Il poeta s’interroga: Perché scrivere poesia? Quello che si scrive macchia

“una pagina intonsa”. Scrivere, ma per chi; il mondo coi suoi dolori non ne trae giovamento; il paesaggio resta immutato. Per la gloria, forse? Per lasciare una traccia? L’occasione della poesia è la poesia stessa quando ritorna…

La vita che ci ha preceduto nei suoi attimi è legata al tempo che il poeta definisce “infecondo del rimpianto…”

Il testo completato a Prato il 6 aprile 2015, può apparire amaro, disperato,

ma per lui il fluire delle liriche non costituisce il thrênos (lamento) di una tragedia ma un grido volto alla speranza.

Le sue potenzialità notevoli, il suo essere uomo, il ricordo dell’amore, e il

desiderio che l’estasi possa ripetersi, lo indirizzano alla speranza. Inquieti i giorni che potrebbero portare al dopo, un dopo visto come la fine della strada e non si può cambiarne la direzione. È il dolore a parlare. Il suo essere non cambia, è incastonato in un tempo fatto di dolori, di ardori, di memorie. In noi sono presenti voci lontane che non sempre ascoltiamo e “il ricordo insensato del dolore/ si è spento nell’abisso senza fondo/ del sublime delirante/ della vita”. Si vive nel tempo e il tempo, come il cuore, ha un suo battito. La poesia ce lo fa percepire. La poesia è un dono che affina le nostre percezioni. Forse non sempre ci rendiamo conto di averlo. Occorre trovare un rifugio alla ineluttabilità degli eventi e questo rifugio è l’amore: “sorrido in una lunga nota/ di disperata allegria e di mistero;/ l’amore è il sogno…/ l’amore è l’insieme di tutti i possibili passati/ che si sono vissuti senza dimenticarne alcuno…”

Il passato è insito in noi, il ricordare può aiutare quando le notti non ci

concedono sogni. C’è il nero della notte, e mattini eguali pervasi di stanchezza, di ansia, di paura di non farcela. Per il poeta il lavoro è irrinunciabile e non solo fatica e dolore di vivere; è la nostra gratifica. Non abbiamo vissuto invano. C’è ottimismo nella disperazione presente di Giuseppe. Siamo immersi nello spazio del dolore ma non dobbiamo arrenderci. Va attraversato per raggiungere una sponda con qualche aspettativa di vita. L’oblio è negativo e non genera vita; occorre guardare al di sopra di noi? Le stelle torneranno a brillare. Se nel passato abbiamo gioito, dobbiamo far coincidere “memoria e desiderio” e ricreare i presupposti per avere la forza di continuare. Credere nell’inaspettato; rivivere attimi intensi d’amore. Quando si soffre, ci si sente sempre più vicini alla notte; il sogno ci aiuta e ogni risveglio è una vittoria su una morte assurda rimandata. A circa metà del libro, c’è un titolo: Il lamento che comprende il terrore e la speranza. Il terrore è come sprofondare in “sogni perduti, affetti offuscati, amori dispersi, amicizie troncate, sofferenze della mente…” È come un pozzo in cui si scivola senza vederne il fondo. Per fortuna c’è la speranza, che per quanto aleatoria, è qualcosa di vivo, di carnale, in cui i ricordi prendono corpo. Nel poeta, proprio la precarietà della sua esistenza, dà nuovamente vita ad amori passati e ne ravviva il desiderio. Lo fa sentire corpo pulsante. Ma non ci si deve sentire soli. “Abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri/ nessun uomo è un’isola/ …C’è una legge universale che parla di passione e di morte,/ di desiderio e di paura, di coraggio e di fuga…: siamo tutti sostanza fatta di ombre e di nebbia”.

La forza dobbiamo trovarla in noi, che, liberati dai vincoli, ci spegneremo

verso la felicità. È un uomo giovane; in lui forte, avvolgente il bisogno di vivere, il poter provare, anche se per un solo attimo, l’eternità del piacere si sa ma un momento alla volta… Nella realtà è presente l’avvicinarsi della morte da lui vista come suo lento disparire e cerca, cerca uno spazio di attesa dove attendere senza soffrire. Cosa potrebbe lenire questo dolore? Affiora il filosofo che si pone problemi che forse non hanno soluzione: “nel veder morire qualcuno che ami/ è confitto il segreto della vita. / Credere che in quel modo si possa/ spegnere la giostra su cui sali/ per continuare il gioco e la disfatta/ è solo un’illusione infinita…”

Significative le poesie 25 e 33. Nella prima, una sequenza sul tempo e i

suoi colori che variano al suo scorrere. Nel fluire di questi colori, scorrono i vari momenti della vita che, nel suo concludersi, accomuna sempre più il bianco al nero. “i colori si dileguano/ nell’azzurro innaturale/ di ciò che è sempre/ più simile a qualcosa di irreale”. La poesia 33 è l’unica ad avere un titolo: Rosso e blu.

È una chiusura condizionata di forte impatto emotivo. I colori sono

solamente il rosso e il blu. Rosso è il colore dell’angoscia mortale. Il blu invece, si profila come buio totale.

Il poeta si congeda con queste due pennellate: con la morte puoi provare a

giocare a scacchi e osare l’azzardo del Bagatto; solo così, forse, potrai evitare l’abisso della vita. Non sapremo quanto Giuseppe abbia lottato, ma la sua vittoria è essere sempre vivo nelle nostre menti e nei nostri cuori.

 

 

Anna Vincitorio, Firenze

9 giugno 2019