Martedì 12 febbraio 2019 alle ore 17.00 alla Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti – Casa di Dante
si è avuto il Dialogo di Pianeta Poesia con i poeti Francesca Lo Bue e Luciano Valentini.

Dopo il saluto da parte della Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti – Casa di Dante il vicepresidente Franco Margari, per Pianeta Poesia Giuseppe Baldassarre ha presentato i protagonisti dell’incontro e ha chiarito finalità e modalità di svolgimento del Dialogo di Pianeta Poesia.

Poi Francesca Lo Bue ha letto alcuni suoi testi, alternando italiano e spagnolo. Quindi Mariagrazia Carraroli ha tracciato un breve ed efficace profilo critico dell’autrice dell’ultimo libro, cui questa sera si fa riferimento: Itinerari – Itinerarios.

Poi Luciano Valentini ha letto alcuni testi dal suol ultimo volume di poesie Disperata felicità e Annalisa Macchia ha tracciato un profilo critico dell’autore, facendo rifermento anche ad altri suoi volumi.

Nel dialogo i due autori sono stati invitati a parlare del loro modo di fare poesia e della loro poetica. E’ emersa l’importanza della ricerca della parola per Francesca Lo Bue, dell’emozione che permette di esprimere in modo quasi inconsapevole per Luciano Valentini.

Il pubblico ha seguito il dialogo con interesse e sono intervenute con domande Simonetta Lazzerini Di Florio e Teresa Paladin.

L’incontro si è chiuso con la lettura di altri testi poetici da parte dei due autori.

                         

 

                              

 

                                                        

 

 

L’intervento critico di Mariagrazia Carraroli su Francesca Lo Bue

VERSO IL GIARDINO DELLA NASCITA

Gli itinerari di Francesca Lo Bue cercano la Casa antica, dove finalmente trovare il libro.

E’ il libro oscuro della poesia, dove le parole intessono l’enigma da decifrare dentro sillabe nascoste nel sogno. Sogno e Sognare si ripetono nei versi diciotto volte circa : sono un sogno  e un sognare che vivono, parlano, interrogano e rispondono di notte. La notte, infatti, è regina degli  ITINERARI dell’autrice che cerca di farsi aiutare dalla Luna per trovare la strada maestra, bussola, l’iride del cuore. Ma la via è oscura, cosparsa di astuzie e trappole  e Luna e cuore non bastano. Francesca, allora, ricorre ai semi, quelli contenuti nei nobili alfabeti, sicura che possano salvarla e li spande pagina dopo pagina, certa che non la tradiranno. Ricordo che, anni fa, dopo la presentazione d’un suo libro, a Firenze, proprio alla Casa di Dante, Francesca mi donò un piccolo vaso decorato con dentro alcuni semi, dicendomi parole gentili che nel tempo sono germogliate e che continuano a farlo, libro dopo libro… Di altri semi/parole ha cosparso le pagine della silloge ( ho contato dieci volte il termine semi ) che porta al libro per eccellenza, alla parola che cerca se stessa, dopo essere stata in esilio : alla Poesia, dunque, che, secondo la bella definizione di Francesca, diventa un nuovo libro quando viene letta, perché il lettore immette la sua interpretazione, traducendo la lingua del libro attraverso il sentimento del proprio cuore.

A pagina 96 di ITINERARI c’è una poesia dal titolo VISIONARIO, ma è visionario tutto il libro di Francesca, che, tra Pizia e Sibilla, sentieri enigmatici dove la Fenice risorge, l’Angelo veglia e il Padre ha occhi  e presenza di giovinezza ( p.142), si disegnano sogni, trance e ispirazioni dove l’autrice cerca il verbum dell’origine che, dall’esilio, la porti finalmente a casa : là dove si trova l’albero della vita nel giardino della nascita. Una ricerca, un’ansia, una tensione, queste, dovute alla mancanza celata nel più fondo dell’autrice, una mancanza che le avvolge  lo sguardo come benda su una ferita. Così riesce a riconoscere i fantasmi e ad aprire scrigni d’immagini e nomi con la chiave dell’inconscio e del mito. Tutto ciò, presente nel suo ultimo lavoro, percorre ogni spazio dell’intero itinerario poetico di Francesca Lo Bue.

 

L’intervento critico di Annalisa Macchia su Luciano Valentini

Luciano Valentini, autore di raccolte poetiche ma anche di racconti in prosa, diversi solo nella forma dalle espressioni poetiche, si rivela alla lettura delle sue opere un profondo conoscitore dell’animo umano. Ha collaborato con diverse riviste letterarie, tra cui L’area di Broca (con la quale tuttora collabora), già Salvo Imprevisti, di cui, nel 1974, fu uno dei primi redattori insieme con Attilio Lolini, a lui legato anche dalla comune origine senese. Oggi è presente al nostro dialogo tra autori con la raccolta poetica Disperata felicità, un titolo che intriga, ma anche inquieta. Chi non vorrebbe essere felice senza alcuna ombra di disperazione? Ma è possibile? Si legge in quarta di copertina che il “cuore di queste poesie di Luciano Valentini è il viaggio; nello spazio, nel tempo, nella memoria, nell’anima.” Come un novello Ulisse ogni sua azione ha per obiettivo quell’Itaca a cui si aspira di ritornare inseguendo un sogno di felicità, ma attraverso un’umana, cosmica e inevitabile condizione di dolore. La formazione culturale, umanistica e filosofica dell’autore , che è stato docente di Filosofia e Scienze Umane, lo ha condotto a lunghe riflessioni sul senso della nostra esperienza di vita terrena. Consapevole del fascino di tante avventure a cui sarebbe impossibile sottrarsi nel corso di questo viaggio, ma anche cosciente della loro ingannevole sostanza, delle apparenze che rappresentano, si è sempre più orientato verso un approdo artistico, intravedendo nell’Arte l’unica possibilità per raggiungere l’agognata felicità. Nell’introduzione, a sua firma, di una precedente raccolta, Inseguire il vento, si comprende con chiarezza il suo rivolgersi alla poesia: “Meraviglia e stupore, angoscia, orrore ed indifferenza erano i sentimenti che mi prendevano mentre cercavo di osservare quelle assurde apparenze. Ma sentivo anche che l’arte e, quindi, la poesia, esprimendosi, purificava i sentimenti negativi derivati da quell’incomprensibile disordine (cioè, dal male): pertanto la poesia era da me vissuta anche come purificazione per giungere alla felicità e, quindi, come tendenza al bene. Vivendo nel non-senso e sentendomi estraneo a questa, che mi appariva spesso come una commedia che finiva sempre in tragedia, capivo che occorreva ricercare un solido punto d’appoggio per non cadere nella disperazione.” Esiste davvero questo punto d’appoggio? Una risposta, la sua risposta, è in questi versi consapevoli ma non arresi davanti a una felicità senza disperazione.