Giudo Ceronetti, Messia. 2002-2017, Adelphi Edizioni, Milano 2017

 

“Ho scritto più volte, tra pubblici diversi, i pochi versi di Voce che terminano con la parola Messia. Spesso è scattato uno spontaneo e vivace applauso. Mi domando perché.

Non l’aspetto, non mi pare di averlo mai aspettato. Resta però  nell’armadio delle speranze cieche, le sole che valgano, e mai ne butterò via la chiave.  Si è nel messianico finché si è nell’umano”.

 

 

 

L’INGORGO

Gli automi a ruote a migliaia

Cavalleria pietrificata nel volo

Contro lance invisibili nel buio

Tra gobbe sconsacrate d’Appennino.

 

“Ma che succede? Da più di tre ore

Fermi qua…. Non si sblocca! E

Nessuno per dirci quando…”

 

“Cristo! Va a pezzi ogni pazienza!

Si piscia in selve d’occhi…

Ormai sono sei ore. Freddo! Fame!

Rabbia! Paura! Sarà un enorme TIR

Allagato di sangue, di traverso?

Suicida uno di Lodi, esasperato

Dall’ingorgo apre i gas

All’interno, asfissiato!”

 

Dodici ore. La strada è buia e sgombra

Davanti a noi. Pioggia con neve. Ghiaccioli

Sui parabrezza. Sfiniti.

 

“E nienteee! Aiuto, non si passa!

L’aria è blindata, noi statuificati.

Perdio salvateci, questo è maleficio!”.

 

Oh che notte! Che notte! Lunga cento

Chilometri la torva carovana

Tende le mani arrese, implora muta,

Insonne dietro i vetri, facce forti

Ridotte una spremuta.

 

Prime pagine, telecamere

Satellitari…

“Un gigantesco misterioso ingorgo

Tra Firenze e Bologna. Cento e più mila

Macchine ferme. Soccorrerli impossibile.

Ci gridano coi gesti, non li udiamo.

L’aria è di ferro, spenta”.

 

Grasso, nudo, impazzito

Un camionista in testa

Si dimena sul cofano: LO VEDO!

I miei occhi lo vedono, è il MESSIA!

Gambe incrociate, seduto sull’asfalto

E occupato a guarire

La malattia di essere

Di una folla infinita che lo preme

Gemendo. Vi dico che lo vedo!”.

 

Là. Senza parapioggia, la testa calva,

in finanziera scura, tubino nel bagnato.

Medico di emigranti e di campagne

Sfiora lento le fronti. Accanto a lui

Un calesse, un cavallo denutrito.

 

Ora tutti lo vedono. Si alza,

Piglia le briglie, parte.

Si passa, finalmente! Addio, Messia…

“Credevo (è la sua voce al vento)

Di disturbare poco…. Un’altra volta

Verrò per ferrovia”.

 

Alta poesia, straordinariamente attuale e universale. (G.B.)